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Politica, l’onda lunga della crisi

Una sfiducia nella politica quale c’è oggi nella società contemporanea, soprattutto in Italia, non c’è mai stata. Tocca alla nostre generazioni di vivere la fase più problematica del difficile rapporto tra mondo politico e opinione pubblica. È il ruolo stesso della politica che viene messo in discussione. Vi ha contribuito senza dubbio certa prevaricazione, quasi sistematica, dei partiti sulle istituzioni, che da una parte ha diffuso nel mondo politico pragmatismo spesso artefatto e strumentale e opportunismo, dall’altra ha provocato disaffezione e distacco dalla politica nella società civile, quando non addirittura avversione e sprezzo.
È un fenomeno che ha una sua storia antica, in verità. L’esempio più classico è quello di Platone, che, deluso dal trattamento riservato dalla politica a Socrate, nella sua Repubblica assegna il potere ai filosofi (sofocrazia), sicché ne viene quel regime che Popper, filosofo liberale del Novecento, considera fonte di ogni dispotismo, dal che non può sfuggire una considerazione: che la crisi della politica spesso diventa causa di governi liberticidi, come del resto la storia dimostra.
Ecco un libro che la crisi della politica la esamina con una analisi storica e sociale di grande efficacia, soffermandosi segnatamente sull’Ottocento e il Novecento. È un saggio di grande spessore scientifico di Domenico Fisichella, uno dei politologi più autorevoli del nostro tempo, che viene dalla scuola di quel maestro della politologia ch’è Giovanni Sartori: Crisi della politica e governo dei produttori.
Fisichella parte dal positivismo, il movimento filosofico europeo della seconda metà dell’Ottocento che contrapponeva all’idealismo romantico la positività di un metodo fondato su fatti scientifici. Analizza il pensiero di Claude Henri Saint-Simon (1760-1825) e di Auguste Comte (1798-1857), due pensatori che si sono dedicati per primi alla sociologia.
Saint-Simon prese parte alla guerra d’indipendenza americana, fu in qualche modo vicino all’enciclopedista D’Alembert e visse la Rivoluzione francese e l’ascesa di Napoleone. Engels, l'amico e collaboratore di Marx, di lui disse che era «la mente più universale della sua epoca». Il suo pensiero, però, fu ben lontano da Marx. Studiò la società industriale allora in sviluppo, e avvertì il ruolo fondamentale che avrebbe avuto il mondo della produzione nella politica: ne pronosticò il «potenziale politico enorme». Previde, in sostanza, la preminenza che avrebbe avuto l’economia sulla politica e si pose la questione del potere ch’è diventato il grande problema del mondo contemporaneo.
Comte, seguace di Saint-Simon (da giovane ne fu segretario), fu il vero fondatore del positivismo: il suo Corso di filosofia positiva è di ben sei volumi. Prese qualche distanza dal maestro ponendosi fuori da ogni tradizione metafisica, ch’era invece presente in Saint-Simon. Contribuì molto a individuare i grandi progressi che avrebbero determinato la società industriale. Il grande merito sia di Saint-Simon che di Comte è di aver previsto la divisione del lavoro e la presenza accanto al potere temporale di un potere spirituale degli intellettuali, questioni che Marx ignorò o non capì.
Fisichella - ed ecco l’idea di fondo, ch’è la sostanza della lucida analisi del politologo - dal pensiero di Saint-Simon e Comte fa discendere magistralmente la sua tesi della crisi della politica determinata dal primato che ormai l’economia ha assunto nel mondo moderno. Siamo, conclude, «nella morsa tra crisi della democrazia e pressione tecnocratica».

Un tema che pochissimi hanno affrontato e approfondito con la stessa razionalità e nitidezza. E sul quale il mondo politico moderno è chiamato a fare serie e motivate riflessioni.
Domenico Fisichella, Crisi della politica e governo dei produttori (Carocci editore, pag. 353, euro 19.50).

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