Cultura e Spettacoli

La politica non pensa più Ecco perché la cultura ormai l’annoia a morte

La recente censura leghista contro l’associazione «Terra insubre», al di là dei risvolti interni al partito, riporta alla ribalta il peggioramento dei rapporti fra la politica italiana e la cultura. In realtà infatti questa crisi di convivenza interessa tutti, da destra a sinistra.
Non è sempre stato così. Certo la politica non ha mai troppo amato la cultura, che dovrebbe essere espressione e fonte di libertà, e produzione di idee non sempre inquadrabili, ma ha spesso trovato modo di costruire un rapporto di reciproco vantaggio, utilizzandola per dare credibilità e legittimazione al potere o come strumento utile a conquistarlo.
Il primo e più evidente esempio italiano del genere è stato il regime fascista che si era dotato di una legione di ingegni prezzolati che gli facevano da supporto, utilizzando la vocazione al prossenetismo di tanti intellettuali e il loro bisogno di visibilità, di palchi da cui proclamare le proprie idee. Una simbiosi efficace e collaudata che ha funzionato a lungo, arrivando addirittura a creare i Littoriali, un potente strumento di formazione e di selezione degli intellettuali utili. Li aveva forgiati così bene che, alla caduta del regime, un bel po’ di loro sono passati armi e bagagli alla cultura comunista cui necessitava questo genere di manovalanza.
Si arriva così al secondo caso riuscito di alleanza fra politica e cultura. In una sorta di tacito accordo che affidava alla DC la gestione del potere economico, il PCI si è preso la gestione dell’intero macchinario culturale costruito dal fascismo, dalle case editrici, al teatro, al cinema alle università.
Così per decenni la cultura è stata solo di sinistra quasi per definizione e gli intellettuali non allineati non trovavano facilmente spazi, incarichi, editori, notorietà. Non avevano cioè facile accesso a tutte le cose che permettono a un fabbricatore di cultura di spacciare la propria merce evitando il frustrante ruolo di profeta solitario che parla a sé stesso. In cambio di un disciplinato (o anche solo apparente) collateralismo, l’apparato comunista ha garantito ai suoi uomini tutti i mezzi necessari.
Poi qualcosa si è rotto, essenzialmente per due motivi. Il primo è collegato alla crisi delle ideologie che ha tolto alla cultura un fecondo habitat in cui crescere e svilupparsi. Quasi che, non potendo fare militanza attiva, tanti intellettuali abbiano rinunciato a fare gli intellettuali. In Italia oggi le parti politiche sono quasi indistinguibili se non intercambiabili: perciò non servono ideologi, nel senso di produttori di idee. La gente finisce per parteggiare per l’una o per l’altra come si sceglie una squadra per cui fare il tifo: è un problema di colore delle casacche, non di ideologie e ancor meno di cultura. Il secondo motivo di crisi riguarda la spettacolarizzazione della politica che ha trasformato anche la cultura in immagine affidando il ruolo che prima era degli intellettuali a guitti, cantanti, calciatori e veline. Non servono più pensosi filosofi, scrittori, virtuosi giocolieri delle ideologie: bastano cosce, abbigliamenti stravaganti e personaggi di plastica.
Si è passati dal Premio Strega al Grande Fratello, da Gramsci a Totti.
Come gli intellettuali, anche i guitti in generale cercano soldi, notorietà e palcoscenici su cui comparire, con l’abissale differenza che i primi avevano qualcosa (magari discutibile o esecrabile) da dire, mentre questi sono solo apparizione, apparenza, audience.
I partiti se li contendono o se li inventano per mandarli in televisione a fare a chi urla di più, a chi è più strano o appariscente.
Non si cercano produttori di idee perché le idee non servono, anzi fanno paura. Qualcuno di loro resiste caparbiamente in qualche redazione o università ma sono una razza a rischio di estinzione. Il culto delle idee libere è confinato a qualche angolo di Internet, in qualche casa editrice intelligente e su libri che vendono tutti assieme in un anno quanto un numero di un settimanale di gossip.
Goebbels diceva che quando sentiva parlare di cultura la mano gli andava spontaneamente verso la fondina della pistola.

I politici italiani si risparmiano la fatica, di cultura non vogliono neppure proprio sentir parlare.

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