Capri punta sui super ricchi ma gli italiani spariscono

Americani, australiani, brasiliani, sono loro che salveranno la stagione turistica. Il direttore di Quisisana: "I connazionali sono ridotti al lumicino: 5 camere su 147"

Capri punta sui super ricchi ma gli italiani spariscono

nostro inviato a Capri (Na)

Vide 'o mare quant'è bello, spira tanto sentimento, comme tu a chi tiene mente, ca scetato 'o faje sunnà.
Torna a Surriento è una canzone napoletana, composta nel 1902 da Ernesto De Curtis. Ascoltarla oggi ammirando, all'imbrunire, i faraglioni di Capri dai giardini di Augusto fa lo stesso sunnà. Certo, non è più la Capri di una volta, quella dei ricchi americani che si fermavano sull'isola anche un mese intero, o dei film anni Sessanta che raccontavano di vacanze semplici e spensierate passate a rincorrere gonnelle con le Lambrette, ma Capri, anche in tempi di crisi, è sempre Capri.
E non si può parlare di questa isola magica, senza prima passare davanti al suo tempio, il Grand Hotel Quisisana (www.LHW.com/quisisan), l'emblema del turismo balneare di tutta la costiera amalfitana. Esiste dal 1845, è affiliato alla rete The Leading Hotels of the World (la più grande organizzazione internazionale di hotel di lusso con oltre 430 proprietà in più di 80 Paesi), si trova a pochi passi dalla «Piazzetta», il simbolo di Capri, centro della mondanità dell'isola, tanto da meritare il soprannome di «salotto del mondo», e in 169 anni è stato scelto da re, rockstar e poeti.
Ad accogliere i clienti il direttore generale in persona, che gestisce questo grand hotel «a conduzione familiare»: «Io sono un ex medico e il Quisisana è sempre stato di proprietà della mia famiglia», ci tiene a precisare Gianfranco Morgano. «Capri non è più meta per italiani ricchi anche perché questi si sono ridotti al lumicino - spiega il direttore - Ormai ci salvano solo i mercati stranieri come gli Stati Uniti, Argentina, Brasile, Australia, Sud Africa, Francia, India, Cina, Medio Oriente. Pochissimi russi, 1,5%. Il nostro paese di riferimento è l'Inghilterra. Capri è una meta conosciuta per cui abbiamo una clientela diversificata. Malgrado questo gli italiani si contano su una mano. Su 147 camere solo 5 ospitano dei connazionali». Eppure per una junior suite di 40 metri non si arriva nemmeno a mille euro a notte. Ma niente. «Rispetto a quaranta anni fa, quando venivano gli americani e stavano da noi per mesi, oggi la permanenza media è di una settimana, massimo 10 giorni. È una clientela ripetitiva, vengono sempre gli stessi affezionati che tornano ogni anno da 30 anni e vogliono, se possibile, sempre la stessa camera».
Tanto per dare un'idea, il calo di presenze degli italiani è di circa il 15%. Il dato più significativo è quello della diminuzione dei giorni trascorsi sull'isola, che si aggira intorno al 7-10%. In ogni caso, sebbene ci siano in giro tanti super ricchi con portafogli belli gonfi, il numero di prenotazioni nei cinque stelle è diminuita di quasi l'8%, niente in confronto al 25% degli italiani.
Umore positivo quello del Capri Palace Hotel (www.LHW.com/capri), anche questo appartenente a The Leading Hotels of the World, 72 camere a pochi passi dal piccolo centro di Anacapri. «Il mercato cambia continuamente. Il segreto per essere ancora attrattivi è cercare di creare un motivo in più per venire da noi», spiega Chiara Della Corte dello staff.
Per attraccare con uno yacht nel porto di Capri ci vogliono 1.810 euro al giorno per barche sotto i 40 metri e 3.020 oltre quella lunghezza, a cui va aggiunto il costo dell'erogazione di elettricità. Più di Porto Cervo, Portofino ed anche di Saint-Tropez. Ciò significa che la crisi a Capri, che pur si sente da qualche anno, si combatte solo con il superlusso.
Sebbene il turismo straniero sbanchi sull'isola azzurra con un 15-20% in più, in tutte le strutture dell'isola, rispetto all'anno scorso, esistono motivi di malumore. «Un autentico delitto ai danni degli hotel a 5 stelle è quello perpetrato da Farmindustria - osserva Morgano - che col codice etico ci ha tagliato fuori dal turismo congressuale nei mesi di bassa stagione, vietando alle aziende farmaceutiche di organizzare convegni nelle strutture di lusso come la nostra come azione moralizzatrice». Una discriminazione «illogica», prosegue Morgano, tanto più che «il nostro albergo è da sempre rivolto alla salute e al benessere. Siamo stati criminalizzati e nessuno è intervenuto per difenderci. Nemmeno Federalberghi che evidentemente conta poco. Non ho capito perché l'Antitrust non intervenga per questa palese violazione delle norme sulla concorrenza. Noi offriamo servizi migliori allo stesso prezzo, o anche minore, delle strutture a quattro stelle che adesso possono approfittarsene. L'occupazione alberghiera nei mesi di bassa stagione si è ridotta a meno del 50%. Potrei considerare così l'ipotesi di declassare il Quisisana per renderlo soggetto qualificato a ospitare convegni medici, oppure ridurre il personale del 30-40% nel periodo di bassa stagione».
La crisi del turismo, insomma, anche per quest'anno risparmia Capri. Ma solo grazie agli stranieri ricchi e non certo per merito delle istituzioni. L'Isola dei Faraglioni va in controtendenza rispetto alle altre località della costiera amalfitana, ad eccezione di Positano che mantiene sempre un altissimo livello, e secondo l'Azienda di Turismo registra ancora un aumento di presenze.
Morgano, che fa il suo lavoro ogni giorno con anema e core, denuncia «la totale assenza delle istituzioni, e al Sud la situazione è peggiore che al Nord, inutile negarlo. È un dato di fatto. Napoli è tanto bella quanto inospitale, ha deficienze infrastrutturali enormi e i nostri clienti fanno i salti mortali per arrivare a Capri. Non funziona niente».


Sergio Gargiulo, presidente dell'associazione Federalberghi dell'Isola di Capri, attenua: «Non dobbiamo essere pessimisti. La diminuzione delle presenze italiane è fisiologica».
Vide 'o mare quant'è bello, spira tanto sentimento...
(4. Continua)

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