Cronache

Quell'antisemitismo che l'Europa non vede

L'Europa è percorsa da un fetido vento antisemita di ritorno

Quell'antisemitismo che l'Europa non vede

Se le indagini confermeranno che l'attacco di Milano è un attacco antisemita, il pubblico purtroppo non ne rimarrà sorpreso. È ormai abituato. L'Europa è percorsa da un fetido vento antisemita di ritorno. A me che, piccolissima, veniva descritta la passata persecuzione della mia famiglia come una parentesi definitivamente conclusa con la vittoria del Bene, questo sembra un paradossale incubo. Ma tant'è. Occorre aver coraggio e soffermarsi sulla forma che prende oggi l'antisemitismo se vogliamo perlomeno affrontarlo, anche se è difficile battere una così radicata malattia. L'episodio di Milano ha il sapore della mimesi criminale: sembra la copia degli attacchi coi coltelli alla gente di Gerusalemme delle ultime settimane. Ovvero, l'identificazione del giovane haredi di Milano (religioso, evidentemente ebreo nell'abbigliamento) con un odiato israeliano: che l'attacco sia antisemita, è fuori di dubbio. Nonostante da noi gli attacchi con intenti omicidi agli ebrei non siano abbondanti come in Francia, o in Belgio o nell'Europa del Nord, dove l'immigrazione islamica è più intensa, comunque la memoria corre, oltre che agli assassini di Parigi (Ilan Halimi e il supermarket YperCacher), di Tolosa e di Bruxelles, all'assassinio del piccolo Stefano Taché nel 1982, colpevole solo di trovarsi alla sinagoga di Roma quando un commando palestinese la attaccò. Lungo tutta una strada che copre cinquant'anni, l'antisemitismo approfitta del conflitto arabo-israeliano per nutrirsi, e adesso il fenomeno è molto più vasto perché socialmente sostenuto da parte dell'immigrazione. Esso è intessuto della mitologia negativa creata dai palestinesi e dai loro alleati che definiscono Israele uno «stato di apartheid», o chiamano «nazisti» i suoi soldati, parlano di «occupazione» lasciando intendere che Israele stessa va cancellata, dicono che Israele ha operato una «pulizia etnica» laddove il numero dei palestinesi si è moltiplicato e altre bugie. Durante la Seconda Intifada, mentre esplodevano i caffè e gli autobus, l'Europa invece ribolliva di odio antisraeliano. Così anche durante le guerre a Gaza, sempre causate da Hamas. Adesso, invece di solidarizzare con gli ebrei attaccati a coltellate, si parla di «ciclo della violenza» solo perché i terroristi armati vengono bloccati. Il diritto a difendersi viene negato, la memoria offesa. In Svezia la giornata della memoria della Notte dei Cristialli è stata celebrata mettendo al bando le associazioni ebraiche. In Ungheria il movimento antisemita chiede liste di ebrei «traditori», si sono uditi canti di «morte agli ebrei» nelle vie di Berlino, scienziati, intelettuali, artisti vengono boicottati dalle università europee e americane. Gli atti di vandalismo hanno sfregiato i cimiteri di molte capitali, varie sinagoghe sono state messe sotto assedio. E non si può dire che ci sia una grande reazione, come non c'è stata quando l'ambasciatore francese in Inghilterra disse «Quel piccolo Paese di m... ci porterà tutti alla guerra», o quando una gara internazionale di comics fu vinta da un'immagine in stile Goya di Ariel Sharon con la pancia nuda su cui sgocciola il sangue di bambini che lui divora. È di pochi giorno fa l'accusa palestinese ai soldati israliani di uccidere i giovani per rubargli gli organi, e la stessa cosa era stata scritta quattro anni fa al giornale Aftonbladet, svedese. L'antisionismo è la nuova forma di antisemitismo contro tutti gli ebrei, israeliani e della diaspora. Per batterlo occorre affrontare l'idea che i giovani si fanno della storia dello Stato d'Israele anche a scuola. Oggi la leggono secondo l'incitamento arabo e un'ideologia da Guerra fredda in cui Israele ha il ruolo dell'imperialista crudele. Purtroppo la verità non ha mai avuto molto effetto sull'antisemitismo. Avalla l'odio, e persino l'aggressione terrorista, l'incredibile etichettatura razzista dei prodotti della Cisgiordania stabilita dall'Ue.

È un'ulteriore forma di criminalizzazione, in tempi di terrorismo.Fiamma Nirenstein

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