Cesira Ton, detta Emilietta, vive da 16 anni dentro l'aeroporto di Milano Malpensa. Mattina, pomeriggio, sera, notte, 365 giorni su 365. È domiciliata lì, ce l'ha scritto persino sulla carta d'identità. In passato le era capitato di dover soggiornare per un anno nella stazione di Gallarate. Eppure non è mai stata una barbona. Non lo è nemmeno ora.
La sua casa si trova al terminal 1 (arrivi), fra le uscite 4 e 5, sotto il pilone con la pubblicità della boutique Burberry di via Montenapoleone, raffigurante lo sciccoso portafoglio Continental da donna, in pelle rosso militare con interni nel classico tartan scozzese. Un accessorio da 465 euro che a Emilietta non servirebbe a nulla: le mancano i soldi da metterci dentro. Qualora volesse comprarselo, dovrebbe digiunare per 232 giorni, visto che campa con 60 euro al mese. Il che non significa che disprezzi l'eleganza, anzi. Infatti si trattiene per 25 minuti nella toilette prima di lasciarsi avvicinare, diffidentissima, da cronista e fotografo. Ne esce con gli occhi cerchiati da un filo di ombretto celeste, le gote imporporate da una spolverata di fard, le labbra lucide di rossetto, le mani profumate di colonia.
Il suo letto è una gelida panchina circolare di granito, la stessa pietra dei pavimenti. Quattro plaid, ora accuratamente ripiegati, dopo la mezzanotte si trasformano in materasso. Accanto, la coperta per ripararsi dagli spifferi e due mini guanciali, quelli che le hostess ti consegnano nei voli intercontinentali. Sotto il giaciglio lapideo, la dispensa: tre cartoni della cantina Vignenote («non mi sono mica bevuta io le bottiglie, cosa crede?»), dentro i quali tiene i viveri. Gli armadi sono due carrelli portabagagli, pudicamente coperti da un plaid della Meridiana e da un telo blu. Un terzo trolley le serve da deambulatore per reggersi sulle gambe malferme quando si sposta nello scalo. Completano l'arredamento sette posate di plastica, un cucchiaino di acciaio, due bicchieri della Coca-Cola e un mazzetto di salviette recuperate nel bar My Chef, da sotto le quali spuntano tre quadernoni in cui scrive favole e poesie, i cataloghi di alcuni tour operator e il numero di agosto 2014 della Cucina italiana, dedicato a marinate, salsa di pomodoro, melanzane e semifreddi.
Emilietta è nata, non solo anagraficamente, molto prima del Viktor Navorsky interpretato da Tom Hanks in The terminal nel 2004. Il film di Steven Spielberg racconta la storia immaginaria di un immaginario viaggiatore proveniente da un immaginario Paese dell'Est, la Krakozhia, che atterra all'aeroporto internazionale Kennedy di New York e rimane intrappolato per mesi nella zona transiti con un passaporto scaduto a causa di un golpe, avvenuto in patria durante il volo verso gli Stati Uniti. Questa invece è la storia vera di una vera viaggiatrice che passava sei mesi l'anno in una vera repubblica dell'Oceano Indiano, quella dell'isola di Mauritius, per rimanere accanto ai figli bisognosi di aiuto, ed è stata arrestata, sbattuta in galera, privata di passaporto e bagagli, inserita dal governo di Port Louis nella lista delle persone indesiderate e imbarcata sul primo volo in partenza per l'Italia. Arrivata alla Malpensa, dove altro poteva andare, non avendo più una casa e una famiglia? Era il 1999. «Da allora risiedo qui, in attesa di giustizia».
Cesira Ton farà 76 anni il 27 settembre. È nata a Loreggia (Padova), da Narciso, contadino, e Matilde, casalinga. Terzogenita di sei fratelli, appena dodicenne andò a lavorare nei campi con il padre: «So coltivare le verdure e so fare il vino, la grappa, l'aceto, tutto». Parla in perfetto italiano, nonostante da bambina non sia andata oltre la seconda elementare («ma poi, frequentando le scuole serali, mi diedero il diploma di quinta, ero molto brava in matematica e storia»). Il marito - l'innominato di questa odissea - è originario di Treviso. Aveva aperto una fabbrica di materie plastiche a Venegono Inferiore (Varese). Nel 1978, causa crisi, traslocò alle Mauritius, dove abita tuttora. Se ho ben capito, avrebbe smesso presto di occuparsi dei figli Oscar e Cristiano, che oggi hanno 50 e 46 anni, e si sarebbe rifatto una vita con un'altra donna. Forse con due.
Cominci dall'inizio.
«Il 19 novembre 1998 le autorità di Mauritius mi bloccarono al rientro dall'Italia, dov'ero stata a far curare il mio figlio più piccolo».
Per che cosa fu curato?
«Una macchia dentro la testa. Due anni di terapie, 30 milioni di lire in spese mediche. Gli ultimi sei mesi dormivamo in tenda per strada. Dopodiché violai ripetutamente il divieto di tornare alle Mauritius. Volevo rivedere i miei figli. Ma venivo sempre cacciata».
Di che viveva alle Mauritius?
«Vendevo pesce fresco in un chiosco a Grand Baie. Stavo lì sei mesi l'anno, la durata del visto turistico, e poi mi trasferivo per altri sei mesi nel vicino Madagascar, dove avevo avviato un'attività simile ad Antananarivo, la capitale. Ma l'ultima volta il tassista bucò una gomma e arrivai all'aeroporto in ritardo, così dovetti aspettare per qualche giorno il volo successivo. Nel frattempo il visto scadde. Qualcuno fece in modo di avvisare la polizia, che mi arrestò. Due giorni in gattabuia e poi l'espulsione. Arrivai qui a Malpensa il 6 marzo 1999».
E che fece?
«Andai negli uffici della Polaria. Dissi agli agenti: non ho più nulla, quindi mi fermo qua fino a che il governo delle Mauritius non riconoscerà la mia innocenza, chiedendomi scusa e pagandomi i danni per l'ingiusta detenzione».
Che cosa mangia?
«Oggi mi sono cucinata gli spaghetti al ragù sul mio fornelletto da campo».
Al ragù? La carne dove l'ha presa?
«C'è il supermercato Carrefour express che vende di tutto, qui a Malpensa».
Dove dorme?
«Sul sasso». (Indica la panchina di granito). «Mi congela i piedi». (Mostra le estremità gonfie: due zampe d'elefante).
Per lavarsi come fa?
«Non mi spoglio davanti agli altri. Vado nel bagno provvisto di fasciatoio per i neonati. Lì c'è una vaschetta. M'inginocchio. Giuseppe, un dipendente della Società esercizi aeroportuali che adesso hanno trasferito al terminal 2, mi ha procurato un doccino».
Chi le lava gli indumenti?
«Faccio da sola. La notte scorsa ho lavato fino alle 4.30. Più di due ore non dormo. Me li stiro, anche. Ma la Sea, che prima mi aiutava, adesso mi fa la guerra. Ha tolto le maniglie e l'acqua calda dal bagno qui vicino: mi tocca camminare un chilometro per trovarne un altro funzionante. E ha staccato la corrente da quella spina che vede là. Ho protestato. “È stato un guasto”, si sono giustificati, e mi hanno ridato l'elettricità».
Quando sta male, che fa?
«Mi sdraio e aspetto. Il buon Giuseppe mi ha dovuto trasportare all'ospedale. Sono stata operata alla pancia: 55 punti di sutura. Ho perso 10 chili».
Viene a trovarla il cappellano?
«Guardi, signore, fu la prima cosa che mi dissero i carabinieri: “Vada su da don Ruggero, lui può darle i buoni per un pasto caldo”. Le ultime 100 lire le avevo consegnate ai miei figli, 50 per ciascuno. Loro non volevano: “Che cosa ce ne facciamo, mamma? Servono più a te, che non sai dove andrai a finire”. Spiegai al prete la mia storia. “Benedetta, non posso fare niente per lei”, sospirò. Dopo una settimana mi fece recapitare da un'impiegata l'invito a recarmi negli uffici della diocesi di Milano che assistono le zoccole».
Triste.
«È venuto qui in aeroporto anche l'arcivescovo (Angelo Scola, ndr ). Per fortuna il conclave ha eletto Francesco: non mi pare che 'sto cardinale abbia la faccia da papa. Doveva tenere una riunione per i clochard. Ce ne saranno 200, qui a Malpensa. Ehi, ma io non sono una barbona! Ho il tetto più grande del mondo sulla testa. Una volta s'è avvicinato un parlamentare: “Passo di qui ogni 15 giorni e mi si stringe il cuore a vederla sul sasso”. Voleva fare qualcosa per me. Gli ho detto di lasciar perdere. Saranno 40 anni che non voto. Potrei avere tutto. Ma non mi va di chiedere niente a nessuno, neanche una mela. Si fermano cantanti, artisti. Un signore facoltoso di Vicenza voleva adottarmi e portarmi a casa sua. Ho rifiutato. Più le persone sono ricche e più sono attratte da me».
Dev'essere dura ritrovarsi da soli a Natale in questa terra di nessuno.
«L'ultimo Natale ho ricevuto inviti da 21 famiglie. Un tizio dal Veneto mi ha fatto recapitare un pacco che sarà costato 500 euro: tre tipi di formaggi, soppressa, funghi porcini, salse, sughi, vini. Un signore elegante è venuto apposta dalla Sicilia: ha fatto apparecchiare un tavolo per due al ristorante del piano qui sopra. Non sono andata».
Quanto prende di pensione?
«Sono 620 euro al mese. Però ho fatto un mutuo decennale in banca per aiutare i figli, che godono di poca salute, ad aprire un autolavaggio e uno sportello Western Union alle Mauritius: mi costa 200 euro al mese. Altri 360 euro se ne vanno per il più giovane, residente nella casa della dottoressa che lo cura».
Li sente qualche volta?
«Quasi tutti i giorni. Con i restanti 60 euro della pensione, riuscivo a pagarmi la scheda telefonica, ma due settimane fa mi hanno rubato il cellulare. Chiamo dalla cabina con le monetine, 15 secondi, il tempo di dirgli: ciao Oscar, ciao Cristiano, state bene?, mi raccomando le preghiere, recitate il Padre nostro».
Le monetine sono quelle che recupera dai trolley abbandonati?
«I carabinieri mi avevano consigliato di farlo. Ma non mi va di approfittarne. Né di tendere la mano. Sa quante elemosine rifiuto? Ho la mia dignità».
Non è stufa di restare segregata qui dentro da 16 anni?
«Non mi avanza il tempo per annoiarmi. Aiuto i passeggeri che si smarriscono, soprattutto le donne: nel 90 per cento dei casi sono incapaci di orientarsi e rischiano di perdere il volo».
Ha visto il film The terminal ?
«Me ne hanno parlato, ma non m'interessa».
Non è interessata neppure a che cosa accade nel mondo?
«Fino a tre mesi fa seguivo volentieri i telegiornali su un monitor che c'era su quella parete. La Sea me l'ha tolto».
Che ha di bello quest'aeroporto?
«Tutto. È mio».
E di brutto?
«Niente. Be', no, a dire il vero ho dovuto incollare le foto di un uomo e di una donna sulle porte dei bagni per distinguere gli ingressi. Di notte diventano una casa di tolleranza. Uno schifo».
Chi è il suo miglior amico qua dentro, a parte il signor Giuseppe?
«Non ho amici. Però cinque o sei anni fa sono stata avvicinata da un signore di nobile aspetto, dev'essere un pezzo grosso, o forse un musicista. Voleva allungarmi un'offerta. Io ho ritratto la mano. “Non intendevo offenderla, mi piacerebbe che bevesse alla mia salute”, s'è scusato. M'è venuto spontaneo replicare: è malato, per caso? Da allora si ferma regolarmente prima e dopo i suoi viaggi. Poche parole. “Lei ha saputo rapirmi”, mi ha confessato una delle ultime volte. È il mio angelo custode».
Quand'è triste, in che cosa trova consolazione?
«Prego tanto. Mi rivolgo direttamente a Dio. Gli dico: è tanto tempo che non vedo i miei figli, fammeli incontrare almeno in sogno. Invece non sogno più. Mi sono stati rubati anche i sogni».
Qual è il suo attuale stato d'animo?
«Sono felice. Nessuno mi ha mai visto piangere. Piango dentro di me, o prima di addormentarmi, quando posso nascondere la faccia sotto la coperta».
Se uscisse di qui, dove le piacerebbe andare?
«Vorrei vivere con il mio angelo custode».
Perché non glielo chiede?
«Piano! Ho 21 anni più di lui. Non conosco neppure il suo nome. Magari è sposato e con figli».
Che consiglio darebbe ai giovani d'oggi che non hanno né lavoro né futuro?
«Guardate la Emilietta e non abbiate paura di niente. La povertà è ricchezza. Se un uomo non impara a cavarsela nelle ristrettezze, non vale nulla. Io sono un albero che ha perso le sue foglie, eppure non ho mai avuto così tanta voglia di vivere e di combattere come negli ultimi 16 anni».
Dove trova tutta questa forza?
«Nella fede. Chi non crede in nulla, è una canna vuota esposta a ogni vento. Purtroppo non si può dire a un uomo “credi!”, se Dio non gli apre il cuore. È questa la sua disgrazia più grande».
(760. Continua)
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