40 anni fa l'addio dell'Italia al delitto d'onore

La legge 442 abolì anche il matrimonio riparatore e l'abbandono di un neonato per onore

Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli nel film "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi (1961)
Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli nel film "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi (1961)

È una delle scene nevralgiche di “Divorzio all’italiana” capolavoro di Pietro Germi del 1961: Marcello Mastroianni si reca nel luogo in cui cogliere la moglie in flagrante con l’amante per ucciderla e poi convolare a nozze con la giovanissima e procace Stefania Sandrelli. Lo anticipa nei suoi propositi omicidi la moglie tradita dall’amante, che appunto uccide il marito. A quel punto Mastroianni frastornato si domanda ad alta voce: “E il mio onore?”. A quel punto estrae una pistola e uccide la moglie. Il film di Germi resta uno dei ritratti più grotteschi ed efficaci dell’Italia del delitto d’onore.

Era il 5 agosto 1981. 40 anni fa. Una sola riga. La legge 442 aboliva gli articoli 544 (matrimonio riparatore), 587 (delitto d’onore) e 592 (abbandono di un neonato per causa d’onore) del codice penale. In particolare l’articolo 587 così stabiliva: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall'offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”.

Era il cosiddetto “delitto d’onore”. Cioè la legge prevedeva una pena ridotta a chi uccidesse la moglie o il marito, la figlia o la sorella per difendere il proprio onore o quello della famiglia. E lo stato d’ira necessario a far scattare l’esimente era sempre presunto dal giudice. In pratica il codice penale, quindi lo Stato italiano, dava rilevanza legale al concetto di onore per punire un omicidio con una pena molto più bassa dei 21 anni minimi di carcere previsti.

Già il codice Zanardelli del 1889, così chiamato dall’allora ministro di giustizia Giuseppe Zanardelli, prevedeva all’articolo 377: “Per i delitti preveduti nei capi precedenti, se il fatto sia commesso dal conjuge, ovvero da un ascendente, o dal fratello o dalla sorella, sopra la persona del conjuge, della discendente, della sorella o del correo o di entrambi, nell’atto in cui li sorprenda in flagrante adulterio o illegittimo concubito, la pena è ridotta a meno di un sesto, sostituita alla reclusione la detenzione, e detenzione da uno a cinque anni”. Al governo c’era la Sinistra storica con Francesco Crispi presidente del Consiglio. E, per darvi un’idea, il codice Zanardelli aboliva la pena di morte, consentiva la libertà di sciopero e riconosceva il valore rieducativo della pena detentiva. Cioè era molto avanzato rispetto allo spirito dei tempi. Ma nulla potè contro il delitto d’onore. Si arriva al 1930, in piena era fascista, con il codice Rocco, dal nome del ministro guardasigilli Alfredo Rocco. L’articolo 377 recitava: “Per i delitti preveduti nei capi precedenti, se il fatto sia commesso dal conjuge, ovvero da un ascendente, o dal fratello o dalla sorella, sopra la persona del conjuge, della discendente, della sorella o del correo o di entrambi, nell’atto in cui li sorprenda in flagrante adulterio o illegittimo concubito, la pena è ridotta a meno di un sesto, sostituita alla reclusione la detenzione, e detenzione da uno a cinque anni”. Il fascismo era rimasto coerente a una sua visione della donna come moglie e madre e quindi confermò il delitto d’onore.

Ma che cos’è l’onore? È un concetto complesso da definire. È il risultato di un insieme giuridico di norme costituzionali, penali, processuali, internazionali, materiali e di un insieme sociale che muta nel tempo, quella che i giuristi di Roma antica definivano “opinio iuris ac necessitatis”, cioè la convinzione di sottostare a un comando giuridico che in realtà è soltanto una convenzione sociale. In questo senso l’onore che giustificava il relativo delitto va inteso come reputazione, stima e considerazione di cui si gode presso l’ambiente sociale che si frequenta. Insomma, il paese è piccolo e la gente mormora; l’assoluta preponderanza sociale di questo mormorìo legittimò il delitto d’onore.

L’iniziativa parlamentare del 1981 che portò all’abrogazione di questo reato ebbe diverse madri e diversi padri già dalla fine degli anni Sessanta: le parlamentari comunista Angela Maria Bottari e Romana Bianchi, il ministro repubblicano Oronzo Reale, la senatrice Tullia Carettoni Romagnoli, il giurista socialista Giuliano Vassalli. Un processo riformatore che s’inserisce nel solco dell’introduzione del divorzio nel 1975 e della legge sull’aborto del 1978.

Ma certamente fu determinante per l’abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore la vicenda di Franca Viola. Il 26 dicembre 1965 ad Alcamo (Trapani) una ragazza di 17 anni viene rapita. I sequestratori sono il suo ex fidanzato Pippo Melodia e alcuni suoi amici. La giovanissima Franca Viola viene violentata e tenuta in segregazione per 8 giorni. Sembra il copione già scritto del matrimonio riparatore, cui gli stessi genitori della giovane danno il loro consenso. Il 2 gennaio 1966 la polizia irrompe nel casolare del sequestro, arresta Melodia e i suoi complici liberando Franca Viola. Questa ragazza coraggio dirà al processo: “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”. In poche parole il rifiuto di tutte le convenzioni sociali e giuridiche del tempo, dalla violenza sessuale come offesa alla morale e non alla persona, alla donna “svergognata” destinata a restare sola e isolata, alla sostanziale subalternità della donna rispetto all’uomo. Franca Viola è diventata un simbolo di libertà e di dignità contro l’onore come causa giustificativa del matrimonio riparatore e del delitto “di soddisfazione”.

40 anni dopo l’Italia ha totalmente modificato le proprie strutture sociali, il concetto di famiglia e il ruolo della donna nella società. Eppure la cronaca ci offre episodi drammatici che ci rimpiombano in quel mondo che sembra ormai appartenere a foto o a film in bianco e nero. Tra il 9 e il 10 aprile 2018 a genova l’operaio edile Javier Napoleon Pareja Gamboa, 52 anni, uccide a coltellate la moglie Angela Jenny Coello, 39 anni, perché lo tradiva. L’uxoricida viene condannato a 16 anni contro i 30 chiesti dal pubblico ministero. E ancora: a Riccione Michele Castaldo, 57 anni, strangola Olga Matei, con cui aveva da poco una relazione. Condannato in primo grado a 30 anni, Castaldo si vede in appello la pena ridotta a 16 anni in virtù di una perizia psichiatrica che descrisse l’assassino come in preda a una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”. Infine il caso di Saman Abbas: la diciottenne di origini pakistane scompare da Novellara (Reggio Emilia) la notte del 30 aprile 2021. Gli inquirenti sospettano che la giovane sia stata assassinata dal padre perché rifiutava un matrimonio combinato dalla famiglia, essendo già fidanzata con un ragazzo in Italia.

Le ricerche nelle campagne di Novellara non hanno portato ad alcun esito finora.

Sulla carta il delitto d’onore è scomparso. Ma ci sono sacche consistenti nell’Italia contemporanea in cui vige come valore totalitario quell’onore da Paese in bianco e nero.

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