Milano - La storia di Ernesto Colnago, 85 anni oggi, è una bici da corsa. Perché la sua vita è quella storia lì: telai, pedivelle, forcelle piegate a freddo, freni a disco, tubi, acciaio e carbonio. Sempre un po' prima, perchè «l'Ernesto» come lo chiamano dalle sue parti dove davanti a i nomi si mette l'articolo, è stato quasi sempre in fuga, sempre davanti. Una vita intorno a Cambiago, ultimo avamposto di un made in Italy che ha fatto il giro del mondo. Casa e bottega. Lo vai a trovare, apre la finestra del suo studio sulla fabbrica che sta di sotto, poi prende le chiavi e ti accompagna dall'altra parte della strada dove tutto è cominciato. E continua. «Ecco, noi lavoriamo qui...» racconta con l'orgoglio di chi si è fatto da sè, di chi ha voluto resistere, nonostante le lusinghe e le offerte. Una vita di lavoro, di gare e vittorie. Tante vittorie.
All'inizio una piccola officina di 25 metri quadrati al numero 10 di via Garibaldi, ora una fabbrica modello che produce più di 15 mila «gioielli» l'anno. E stamattina ottantacinque anni sono una Festa a Milano alle Officine del Volo di via Mecenate con chi ha diviso pezzi di strada e altra ne farà. Giorgio Squinzi, Luca Montezemolo, Igor Makarov il nuovo patron del ciclismo russo, Felice Gimondi, Beppe Saronni, Francesco Moser, Gianni Motta, Michele Dancelli, Davide Boifava, il presidente della Federazione ciclistica Renato Di Rocco, l'amico Don Mazzi e tanti altri ancora. Una festa, 85 candeline e una nuova bici che si chiamerà «Ottanta5» e andrà a prendersi un posto nella storia che è anche diventata un museo. Che l'Ernesto ha voluto al piano sopra del suo ufficio, al fianco dei computer dove lavorano i suoi ingengneri.
Entri e ti fa vedere la gigantografia in compagnia di Giovanni Paolo II. Papa Woityla in sella a una Colnago, la sua. «Mi emoziono ancora adesso a raccontare quella mattina- ricorda sempre - Era l'agosto del 1979 quando andai con mia moglie a trovarlo. Sapevo che era uno sportivo e che amava le biciclette da corsa quindi ne costruii una laminata in oro proprio per lui. Mi spiegò che era abituato ad usarla perché, quando era a Cracovia, pedalava per 45 chilometri almeno due volte la settimana. Certo - mi disse poi - oggi non è che posso girare per Roma in bici da corsa. Forse sarebbe più semplice a Castel Gandolfo magari con un modello sportivo...». E se il Papa ti chiede una bici sportiva che fai? Te lo fai ripetere? Figurarsi un uomo che si è fatto da sé come Colnago. Uno abituato a lavorare fin da piccolo, quando per imparare il mestiere fu spedito dall'Antonio e dall'Elvira, i suoi genitori, nell'officina del «Dante Fumagalli» in cambio di due chili di farina alla settimana. Così torna in «bottega» e nel giro di qualche giorno è di nuovo a Roma con una fiammante sportiva per il Pontefice. Tanti anni fa ma sembra ieri. Così come sembrano di ieri le prime corse e le prime vittorie. La prima in bici da dilettante con in premio un lussuoso abito di «gabardin», la prima volta al Giro come meccanico di Fiorenzo Magni, la prima Sanremo nel 1970 con la bici in spalla pronta da dare a Michele Dancelli, la prima volta con Eddy Merck, la prima bici in carbonio pensata e realizzata con Enzo Ferrari, il Drake. Uomini antichi, stessa pasta. E poi Beppe Saronni. Sempre avuto un debole per Saronni: «È stato il migliore- confida spesso- Era fortissimo dappertutto: in pianura, in volata, in salita.
Ma soprattutto aveva una testa fantastica e lo dimostra ancora oggi». Tanti anni fa e oggi ancora, insieme nel team Uae Abu Dabi, che corre con le bici costruite a Cambiago tra le squadre che contano. Perché a 85 anni la voglia è sempre la stessa. La storia anche. Però continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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