Accuse tra Hezbollah e Israele. Ma l'incidente fa comodo a tutti

Prima conseguenza: rinviato il verdetto sull'omicidio di Hariri. E in un Paese già provato si rischia la rivolta

Accuse tra Hezbollah e Israele. Ma l'incidente fa comodo a tutti

L' incidente non è solo la causa più probabile del disastro, ma anche, vista l'entità della strage, la più comoda e conveniente per tutti. Proprio per questo non sapremo mai se dietro l'esplosione delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio ammassate nel porto di Beirut si nasconda qualcosa di più sofisticato e premeditato della banale scintilla scaturita durante la saldatura di una porta del magazzino 12.

In compenso nella capitale libanese voci e ipotesi si sprecano. Sul fronte di Hezbollah si ipotizza un cyber-attacco israeliano, simile a quelli messi a segno recentemente in Iran. I nemici del Partito di Dio scommettono, invece, sulla deflagrazione delle testate missilistiche ammassate da Hezbollah in un sito adiacente al magazzino 12. Altri ancora ipotizzano un tentativo di mettere le mani sul carico di nitrato di ammonio in vista di un prossimo attacco allo Stato ebraico. Fino alle voci che vogliono l'intervento di «manovalanza» di Hezbollah per accendere la miccia e accusare poi Israele.

Voci e ipotesi alimentate dall'imminenza della sentenza del processo Hariri - rinviata proprio ieri - che poteva vedere la condanna in contumacia dei militanti del Partito di Dio accusati dell'attentato costato la vita, 15 anni fa, al premier libanese. L'ipotesi incidente non basta comunque ad assolvere dalle loro responsabilità Hezbollah e quanti hanno trasformato il Libano in un Paese dei balocchi sospeso tra l'incubo di una guerra incombente e il sogno di un benessere infinito. Tra quell'incubo e quel sogno si nascondono le cause dell'insipienza che ha originato l'incidente.

Dietro l'incuria che ha permesso a giudici e autorità di dimenticare 2.750 tonnellate di nitrato di potassio c'è la corruzione di un sistema che per trent'anni ha distribuito poteri, agi e ricchezze in maniera rigorosamente settaria. L'esigenza di scegliere un presidente cristiano affiancato da un premier sunnita e da presidente del Parlamento sciita ha dato vita, a cascata, a una simmetrica ripartizione di risorse, ricchezze e cariche pubbliche. E questo spiega perché, in mancanza di una specifica responsabilità o di un adeguata bustarella, nessuno si sia preso la briga di rimuovere una minaccia letale dal cuore di Beirut.

Con la stessa logica nessuno si è mai preso la briga di garantire a una metropoli dove, fino a qualche anno fa, giravano i miliardi di dollari del Golfo, un sistema di trasporti pubblici o una centrale elettrica capace di garantire forniture stabili. Così per decenni l'apparente dolce vita di Beirut e la miseria dei suoi sobborghi hanno fatto i conti con i miasmi dei gas di scarico sputati da traffico e generatori. Ma la strage di lunedì prende forma sullo scenario dell'ulteriore degrado innescatosi due anni fa quando il principe ereditario Mohammed Bin Salman bloccò definitivamente i flussi di capitali sauditi mettendo con le spalle al muro un premier Saad Hariri poco disposto a uno scontro frontale con Iran ed Hezbollah. Il crollo del prezzo del petrolio e le sanzioni americane a Teheran hanno fatto il resto lasciando in mutande un Partito di Dio sciita che - dopo aver sacrificato risorse e militanti nella guerra di Siria - sperava nei proventi garantiti dagli ayatollah iraniani. Dissolti i dollari di Riad e Teheran del vecchio sistema settario sono rimaste in piedi solo le ineguaglianze e le ingiustizie aggravate ed esacerbate, negli ultimi mesi, dall'ulteriore crisi innescata dal Coronavirus.

In questo scenario la Beirut ferita a morte dall'immane esplosione di lunedì rischia di affondare non sotto i colpi di Hezbollah o dei militanti sunniti, ma di chi si ritrova alla fame a causa delle malversazioni garantite e permesse dai due eterni nemici.

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