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Addio a Carra, vittima di Mani Pulite. Quelle manette come arma di tortura

Fu fatto sfilare in tribunale con gli schiavettoni ai polsi per un reato poi cancellato. Di Pietro voleva che accusasse Forlani

Addio a Carra, vittima di Mani Pulite. Quelle manette come arma di tortura

Quell'immagine borbonica di un uomo sfilacciato è una delle foto simbolo di Mani pulite. L'icona di una stagione in cui le manette venivano prima della giustizia e la giustizia si misurava col metro del pentimento. È il 4 marzo 1993 e Enzo Carra, potente portavoce della ormai moribonda Dc, sfila con le manette ai polsi attraverso i grandi saloni del Palazzo di giustizia di Milano.

Antonio Di Pietro e il Pool gli contestano un reato cucito come un abito di sartoria su di lui: le false informazioni al pubblico ministero. Un illecito per cui dal 94 sarà impossibile arrestare.

Di Pietro l'ha interrogato come persona informata sui fatti, più o meno nel primo anniversario della rivoluzione giudiziaria cominciata il 17 febbraio 1992 con la cattura di Mario Chiesa, e gli ha chiesto spiegazioni su una tangente da 5 miliardi di lire incassata dal partito: il nome che tutti si aspettano è quello di Arnaldo Forlani, uno dei tre lati del Caf, il triangolo che comanda l'Italia.

Bettino Craxi in quel momento è già nel mirino della magistratura ambrosiana e viene bersagliato da avvisi di garanzia, uno dopo l'altro; Giulio Andreotti invece sembra schivare i colpi, che gli arriveranno da Palermo, e sul perché di quel galleggiamento girano nel Paese infinite leggende, tutte più o meno di matrice complottistica. Resta quell'obolo sostanzioso che potrebbe portare al segretario della Dc, ma Carra dice di non saperne nulla e finisce a San Vittore.

Il 4 marzo va in scena quello spettacolo avvilente: il prigioniero con i ferri, gli schiavettoni che diventeranno un'icona, fissati con una lunga catena stretta nelle mani di un carabiniere.

È tutto feroce, è tutto senza umanità, è tutto sproporzionato ma quella è la metrica di Mani pulite, forse all'apogeo in quei mesi.

«Prima dell'udienza - mi raccontó un giorno - mi tennero una mezz'ora in una stanza dei sotterranei, poi finalmente si decisero a spedirmi in aula. Stavano per mandarmi con le mani libere, ma ci fu una telefonata e mi misero gli schiavettoni».

Carra, che ieri è scomparso a 79 anni, riviveva quei giorni cupi cercando di descrivere tutti i dettagli, come fa un giornalista, e lui era nato con la penna in mano: dopo un esordio nella critica cinematografica, approda al Tempo dove rimane fino al 1987, firma di punta della cronaca politica; nell'89 diventa lo speaker del partito e dunque l'ombra del potere ma la caduta del Muro e l'esplosione di Tangentopoli mandano in pezzi quel mondo.

L'inverno 93 è quello decisivo: ormai il Pool è sulle tracce della tangente Enimont, la maxitangente che segnerà i suicidi di Gabriele Cagliari e Raul Gardini.

La procura di Milano è una catena di montaggio: arresto, confessione, scarcerazione. Detenzioni lampo, spesso, o addirittura nemmeno quelle: basta un avviso di garanzia per correre a vuotare il sacco con un effetto domino che coinvolge imprenditori e politici.

Però non sempre va così, anche se obiettivamente è difficile resistere alla pressione che spinge sempre nella stessa direzione: c'è chi contesta quei metodi, ma i provvedimenti sono spesso confermati dai giudizi nei gradi successivi.

Succede anche con lui: Carra viene condannato a 2 anni, poi ridotti a 1 anno e 4 mesi, pena confermata in cassazione. E peró quel fotogramma scioccante e umiliante segna un punto di non ritorno: molti Tg si rifiutano di trasmettere quella sequenza così umiliante e le standing ovation per le toghe si affievoliscono.

«Io - spiegava lui - mi rimisi in carreggiata solo grazie a un amico psichiatra e ricominciai a lavorare solo dopo due anni, grazie a Minoli».

Alla Rai, Carra confeziona alcune clamorose interviste: a Gheddafi e a Madre Teresa, forse l'ultima prima della sua morte. Ma il demone della politica lo riafferra di nuovo: sta con la Margherita e il centrosinistra nell'Italia bipolare e per tre legislature è parlamentare, colto e ironico, mai cinico, con quella ferita sempre pronta a riaprirsi.

Alla fine torna al suo primo amore: ci siamo incrociati l'ultima volta tre anni fa a Radio3, nel programma di Edoardo Camurri e Pietro Del Soldà Tutta l'umanità ne parla: in un gioco semiserio io impersonavo Craxi e lui Andreotti.

Anche quella volta si rivelò rigoroso, come sempre.

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