Per i più, Guido Rossi è quel signore elegante, sulla settantina, con gli occhiali e con una sciarpa azzurra, che il 9 luglio del 2006 a Berlino rappresentava l'Italia campione del mondo dopo la finale contro la Francia. Di sicuro è stata quella la breve esperienza che gli ha dato la maggiore notorietà, al vertice della Figc (la Federazione italiana gioco calcio) commissariata dopo Calciopoli. Una posizione dalla quale Rossi si è anche inimicato, in pochi mesi, milioni di tifosi juventini, avendo deciso non solo di revocare loro i due ultimi scudetti, ma anche di riassegnarne uno (quello del 2006) all'Inter, che era arrivata addirittura terza (dietro anche al Milan). Lui, che di mestiere faceva il giurista, l'avvocato e il professore; ma che calcisticamente era proprio un interista, per quattro anni anche consigliere d'amministrazione della società nerazzurra. Guido Rossi si è spento ieri mattina, a 86 anni. Milanese, laurea a Pavia nel '53 e Master in legge ad Harvard l'anno dopo, ha segnato la storia recente del capitalismo nazionale: presidente della Consob nel 1981 e senatore per la Sinistra indipendente nella decima legislatura (1987-1992), è considerato tra l'altro il padre della legislazione Antitrust, introdotta per sua iniziativa.
Professore in diverse Università italiane, è stato dagli anni Ottanta al centro delle vicende industriali e finanziarie più delicate del Paese, dal crac Ferruzzi-Montedison, alle fusioni bancarie, alla privatizzazione della Telecom: una figura di riferimento e relazione tra le istanze bancarie, politiche e giudiziarie che in quelle vicende si sono incrociate, determinandone gli esiti. Rossi non è però stato un «tecnico» puro, al servizio di questa o quella operazione. Ma ha assunto nel tempo una precisa collocazione: politicamente schierato a sinistra e giudiziariamente vicino ai pm (storico amico dell'attuale capo della Procura milanese, Francesco Greco) Guido Rossi è stato un protagonista delle partite finanziarie che si sono giocate nell'Italia, ricca e neo-maggioritaria, del dopo Tangentopoli. Rappresentando, per lo più, gli interessi della sinistra che prendeva in quegli anni il potere politico, spartendolo con Prodi e i cattolici democratici da un lato, con D'Alema e gli ex Pci dall'altro. E sempre con le spalle coperte rispetto al galoppante potere giudiziario.
Celeberrima, ai tempi della scalata della «razza padana» di Roberto Colaninno alla Telecom, è diventata quella sua definizione per cui Palazzo Chigi era «l'unica merchant bank dove non si parla l'inglese». Un'immagine che rivelava tutti gli affari e i veleni che dividevano l'Ulivo quando - caduto nel '98 il governo Prodi che aveva voluto Rossi alla presidenza per privatizzare Telecom - l'esecutivo guidato da D'Alema aveva fortemente appoggiato la vendita del gruppo all'Olivetti di Colaninno; facendo così crollare per sempre l'idea, che Rossi aveva, di una public company delle tlc.
Eppure il professore tornò a guidare Telecom nel 2006 quando fu quella stessa politica affaristica della sinistra, e lo stesso D'Alema (con Bersani) da dietro le quinte, a richiamarlo: allora si trattava di impedire a Marco Tronchetti Provera (che nel frattempo era entrato nel gruppo con la Pirelli) di trovare per Telecom una partnership per il futuro, magari all'estero. Non l'americana At&t, non la spagnola Telefonica, e neppure un'intesa con Murdoch per unire (già allora) contenuti e rete: tutti i progetti vennero bloccati dalla politica in nome dell'italianità anche tramite Guido Rossi. Fino a quando Tronchetti, minacciato anche da vicende giudiziarie poi finite in nulla, non si decise a rivendere il gruppo alle banche.
Appassionato di opere d'arte, lascia una collezione di quadri strepitosa tra la galleria dello studio milanese di via della Posta e la casa di Piazza Castello. Nello stesso stabile dove viveva un suo grande amico, Umberto Eco.
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