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Addio al "miracolo" Guazzaloca, l'ex macellaio che sbiancò Bologna

L'urlo di gioia del cardinale Biffi quando il feudo Pci crollò nel 1999

Addio al "miracolo" Guazzaloca, l'ex macellaio che sbiancò  Bologna

Da una famiglia di macellai a sindaco di Bologna rompendo dopo mezzo secolo il monopolio comunista. E ispirandosi, racconterà Giorgio Guazzaloca, proprio al primo sindaco comunista della città, Giuseppe Dozza. Nel 1999 Guazzaloca riesce così a compiere quello che nessun altro ha mai fatto all'ombra delle Due Torri: espugnare, da non comunista e contro tutte le previsioni, quella leggendaria «roccaforte rossa» al punto da far esplodere con un urlo davanti al televisore il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna: «Miracolo, è un miracolo». Di certo quella vittoria è apparsa come un evento ed è stata vissuta come un trauma a Bologna. Tanto che nelle elezioni successive, quelle del 2004, il centrosinistra dovrà scomodare Sergio Cofferati, che con Bologna non c'entrava niente, per riconquistare la città.

Quella di Guazzaloca, chiamato un po' da tutti Guazza, è stata una vita in salita. Questo è anche il titolo di una sua biografia da cui ne emerge il carattere: determinazione, gusto della sfida, essere controcorrente, forza di volontà, rammarico per non avere potuto proseguire gli studi. E così, senza rinunciare al gusto per la vita, senza prendersi troppo sul serio e parlando senza peli sulla lingua, eccolo diventare prima presidente dei commercianti, poi presidente della Camera di commercio, infine sindaco, con una coalizione di centrodestra. E con una strategia semplice per rivitalizzare quella Bologna che lui definiva «una città ingessata». Dirà: «Far parlare i fatti. Troppo spesso in passato le amministrazioni riempivano i giornali con annunci. Noi dobbiamo caratterizzarci per le poche parole e i molti fatti». Meglio ancora: Guazza vorrà «una città amministrata non in base alle ideologie politiche ma esclusivamente in base agli interessi dei bolognesi». Da allora si comincerà a parlare di «guazzalochismo».

Pieno di energia, sanguigno, non molto loquace e certamente più colto di quello che gli avversari hanno fatto osservare rimarcando i suoi primi passi da macellaio, Guazzaloca ha avuto dall'inizio un maestro, un professore democristiano, veneto e cattolico praticante, conosciuto per il suo rigore morale e diventato direttore del macello di Bologna. E da lui Guazza ha assorbito come una spugna gli insegnamenti, comportamenti di vita vera. Così ha imparato ad essere rigoroso con se stesso, ad avere una propria autonomia di giudizio, a rifiutare di intrupparsi nel fare le cose che fanno tutti. Montanelli, a cui Guazzaloca conferirà nel 2000 la cittadinanza onoraria di Bologna accompagnata poi da parte dell'università della laurea ad honorem in Scienze politiche, dirà di lui: «Mi ha fatto un'eccellente impressione. È pieno di buon senso, un uomo moderato». A Montanelli piacerà ancora di più il fatto che Guazzaloca fosse autonomo dai partiti.

Guazza, che non amava le interviste, ha sempre considerato i giornalisti «una razza strana». Eppure il suo compagno prediletto nel giocare a carte è stato proprio un giornalista del Carlino, Pietro Benassi. Ed ha sempre avuto una grande ammirazione per Gianni Brera («Un amore giovanile» sin da tempi del Guerin Sportivo), per Fortebraccio (il corsivista dell'Unità) e per Montanelli, la voce fuori dal coro. Ed è proprio Guazza a procurare l'appuntamento chiesto da Montanelli con il cardinale Biffi. Al ritorno dall'incontro privato col cardinale, Montanelli gli dice: «Sono contento. Ho capito che, se fosse per lui, andrei subito in paradiso». Quando poi Guazzaloca riferisce la battuta di Montanelli, il cardinale osserverà: «Per quello che conto io».

Nel 2006, quando a Milano sarà inaugurata dal sindaco Albertini una statua in bronzo dorato raffigurante Montanelli seduto su una pila di giornali e con la macchina da scrivere sulle gambe da fenicottero, ci sarà tra i presenti, un po' defilato, anche lui.

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