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Addio al privato, ora tutto serve pur di governare

Il cattivo Togliatti faceva il tenero solo nelle lettere alla Iotti. L'ambizioso Fini brigava in segreto per la famiglia. Oggi l'ultrà Di Battista usa il figlio per mostrare di essere "uno del popolo"

Addio al privato, ora tutto serve pur di governare

Dice Elisa Isoardi sulla love story con Matteo Salvini che «è stato un amore grande e bellissimo». E anche molto «social», fatto di tweet, di foto su Instagram e di messaggi su Facebook. Lo dice questa volta a un giornale, in modo che il suo profondo messaggio possa riposare e lievitare come alla «Prova del cuoco» e trasformarsi in un grande romanzo popolare. Amore e politica, sentimenti privati e presenza pubblica, profondità e apparenza: tutto si mescola in un impasto nuovo. E la politica, che fino a non molti anni fa aveva soltanto una faccia, quella che tutti potevano vedere, fatta di comizi, interviste, tribune politiche e ospitate a «Porta a porta», ora lascia intravedere anche un «lato B» sempre meno segreto, un volto nascosto che non ti aspetti.
Non è sempre necessario guardare attraverso il buco della serratura per scoprire il lato in ombra dei politici. L'amore tra la presentatrice tv e il ministro più rampante del momento è sbocciato in silenzio ma poi è esploso. Salvini come un calciatore, un attore di Hollywood o un Fedez, gente che (...)
(...) vive online annunciando legami e strappi con una foto e due righe di commento. Il pubblico sovrasta un privato che non esiste più, al punto che la rottura del fidanzamento di un ministro viene annunciato al mondo con la più intima delle immagini, un «selfie» scattato sdraiati in un'alcova, lei in accappatoio bianco, lui addormentato su di lei a torso nudo. La vecchia politica ai tempi della televisione entrava nei salotti, la nuova politica al tempo dei social penetra nelle camere da letto. E il «lato B» diventa strumento di propaganda populista.
Un tempo il lato oscuro e imprevedibile dei politici era affidato alle lettere con i familiari, scambi epistolari in cui gli uomini che reggevano le sorti del Paese si confidavano con le persone più care spalancando la porta delle emozioni. Alcide De Gasperi ha scritto lettere struggenti alla moglie e alle figlie, ma ha tenuto una fitta corrispondenza anche con capi di stato, politici, diplomatici, giornalisti, uomini di Chiesa. Vi si leggono tormenti, mediazioni, affetti, come pure la nostalgia per il suo Trentino e la passione per la montagna. Palmiro Togliatti invece affidò a lettere riservatissime verità indicibili, come quando nel 1943 spiegò perché, nonostante si trovasse a Mosca e avesse un contatto diretto con Stalin, non mosse un dito per salvare i soldati italiani catturati dall'Armata rossa.

«Muoioino? Niente da dire»

«Se un buon numero dei prigionieri morirà per le dure condizioni, di fatto non ci trovo assolutamente niente da dire», vergò il Migliore rivolgendosi a Vincenzo Bianco, delegato italiano all'Internazionale comunista che gli chiedeva dei prigionieri italiani. Anzi, continuava il capo del Pci, «il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini e soprattutto la spedizione contro la Russia si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore degli antidoti». Il Togliatti che amoreggiava con Nilde Iotti era invece un altro uomo, forse ancora più insospettabile dello spietato Machiavelli che abbandonò migliaia di connazionali. «Nina mia cara, tu mi hai fatto il dono di te stessa, ma cosa ti ho dato io che sia degno di questo dono? Forse sono stato solo un grande egoista», scriveva Togliatti. E in un'altra occasione: «Questa è la lettera più seria che ti ho scritto, cara. Stracciala, bruciala, rendimela. Ma voglimi bene!». Anche i cattivi hanno un cuore di panna.
Oggi gli scritti d'amore sono di 140 caratteri al massimo, spazi compresi, e viaggiano sui telefonini. Il lato più riservato di certi politici lo si scopre quando escono di scena e pensano di essere al riparo dai riflettori. Di Matteo Renzi si conosceva l'arroganza, l'ambizione e la presunzione che l'hanno portato a sfidare l'Italia con il referendum. A parte le foto in bikini della moglie Agnese, peraltro in forma invidiabile, e un paio di multe prese dalla «first lady» alla guida, l'ex rottamatore era riuscito a preservare la famiglia dalle sue vicende pubbliche. Ma il sipario sul suo «lato B» si è levato quando ha acquistato una grande villa sui colli della Firenze Vip da 1,3 milioni di euro, comprata dopo aver lasciato Palazzo Chigi con un maxi mutuo al mini tasso riservato alla casta parlamentare.
Per Massimo D'Alema il versante segreto (ma ormai non più) era un lato dove la «B» stava per barca, l'Ikarus sul quale ama veleggiare con la moglie Linda Giuva e qualche amico fidato, e un lato «V» come vino che l'ex presidente del consiglio produce orgogliosamente in Umbria, presso Narni.

Brunetta, le amarezze e il vino

Il lato «V» lo accomuna, inaspettatamente, a un altro politico, Renato Brunetta, che in pubblico fa spesso la faccia cattiva mentre si scioglie in grandi sorrisi quando parla dei vini bianchi che da qualche anno ha cominciato a produrre nell'Agro romano insieme con la moglie Titti in una tenuta non lontana dal santuario del Divino amore. «Mi ripagano da ogni amarezza», ha confidato.
Qualcuno dal «lato B» è rimasto schiacciato. Piero Marrazzo, per esempio, mezzobusto e conduttore Rai eletto dalla sinistra governatore del Lazio, costretto alle dimissioni perché fu scoperto in un appartamento con un trans e subì, tacendo, il ricatto dei carabinieri che l'avevano sorpreso. Oppure Gianfranco Fini: l'aspirante delfino di Silvio Berlusconi alla guida del centrodestra è stato trascinato dalla (seconda) moglie Elisabetta Tulliani e dal cognato Giancarlo nel pasticcio di Montecarlo. Il volto inimmaginabile di Fini, un politico di destra, antisistema, condannato alla perenne irrilevanza se non fosse stato sdoganato dal Cavaliere, è quello di un borghese piccolo piccolo, che svende il patrimonio del partito per accontentare la famiglia della consorte che voleva un 80 metri quadrati nell'eldorado dei ricchi.
«Sono stati smarriti i parametri tradizionali del giudizio politico», spiega Giovanni Orsina, storico, politologo e docente alla Luiss di Roma. «Perso il voto di appartenenza ideologico, perso anche quello alla buona amministrazione perché le decisioni principali le prende Bruxelles, si decide tutto sulla personalità dell'uomo politico. Se è simpatico o antipatico, se comunica bene, e soprattutto se ci si può identificare in lui anche nella vita privata». Cioè se evita cene istituzionali come quella natalizia al Quirinale, perché agli appuntamenti ufficiali della casta preferisce la recita della figlia e non vuol fare la fine dei tanti papà per i quali ogni assenza verrà rimproverata nei secoli. Oppure se indossa la felpa anziché la cravatta, se prima dei vertici istituzionali mangia al take away piuttosto che dietro i separé dei ristoranti di zona Pantheon, se spara su Twitter la foto dei due etti di bucatini Barilla al ragù Star. In quell'occasione sulla tavola di Salvini c'era pure un bicchiere di Barolo di Gianni Gagliardo, che sarebbe un po' fuori dalla portata dell'italiano medio. Come la Isoardi, del resto.

Il privato come bandiera

Il meccanismo dell'identificazione era però valido anche per altri politici. «Modelli ormai tramontati», considera Orsina. L'elettore comunista votava Togliatti con convinzione perché voleva che fosse il Migliore, era orgoglioso che le sue idee le avesse anche chi era meglio di lui. Oggi è l'opposto: Renzi vuole riformare la Costituzione salendo su un piedistallo? E io gli voto contro». C'è però anche chi utilizza il versante privato come una bandiera: Francesco Boccia (centrosinistra) e Nunzia Di Girolamo (centrodestra) in pubblico sono rappresentanti politici di schieramenti opposti mentre a casa sono marito e moglie bipartisan, e al tempo del Patto del Nazareno erano il simbolo che si può filare ovunque d'amore e d'accordo.
Alessandro Di Battista, invece, ha usato la famiglia e la cura del figlio piccolo come paravento per ritirarsi dalla competizione politica del 4 marzo scorso che avrebbe consacrato Luigi Di Maio. Una giustificazione nobile dopo che un altro era stato scelto come leader a cinque stelle. «Ma il messaggio passato è un altro», osserva il professor Orsina, «cioè che lui non è uno che ha abusato del potere né lo farà. Di Battista dice: sono una persona qualunque che si presta temporaneamente alla politica, sono affidabile perché non ho ambizioni, sono uno del popolo». In realtà dal Centroamerica «Dibba» ha continuato a fare politica.

«Ma alla gente - spiega Orsina - mostra di avere altre priorità».

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