Il Vaticano non è mai stato nella black list ma era considerato un Paese impenetrabile. Alla faccia della trasparenza e della collaborazione fiscale con le autorità internazionali. Ora la musica è cambiata: Non voglio usare toni altisonanti - spiega al Giornale Tommaso Di Ruzza, quarantenne giovane direttore dell'Autorità di informazione finanziaria - ma credo che certe situazioni vischiose, certi dubbi e certi retropensieri che si richiamano a fatti del passato, possano essere definitivamente superati. Nel 2015, per dare un dato, abbiamo ricevuto 544 segnalazioni di operazioni sospette. Mi pare il segno che il sistema, il nuovo corso introdotto da Benedetto XVI nel 2010 e perfezionato da Francesco nel 2013, comincia a funzionare e dare i suoi frutti. Senza perdere la peculiarità della nostra storia e del nostro ordinamento». Una discontinuità che Di Ruzza ha sottolineato nella conferenza stampa tenuta per fare il punto sull'attività Aif nel 2015.
Direttore, che cosa è cambiato in concreto nell'ultimo periodo?
«Mi pare che il Vaticano si sia adeguato a tutti gli standard di trasparenza invocati dalla comunità internazionale. Un tempo c'era il rischio che qualche conto corrente potesse sfuggire ad un controllo rigoroso. Oggi è impossibile. Di più, oggi l'Aif collabora con gli altri paesi su due binari con la Vigilanza e con l'Unità di intelligence finanziaria».
Il rapporto con Roma?
«Abbiamo ottime relazioni. Dal luglio 2013 la nostra Unità d'intelligence finanziaria ha un rapporto stabile con la struttura equivalente presso la Banca d'Italia. Questo significa un flusso ininterrotto di notizie, riflessioni, chiarimenti in tutte e due le direzioni. Presto, spero, avremo un protocollo d'intesa anche per la vigilanza. Un tassello fondamentale per stabilire relazioni corrette e complete sul piano finanziario».
Le vigilanze potranno scambiarsi informazioni su un personaggio e sul suo curriculum in vista di un'eventuale nomina?
«Certo, si verificheranno competenza e onorabilità. Non solo, la Vigilanza diventerà tecnicamente decisiva con l'entrata in vigore dell'accordo fiscale, raggiunto da Italia e Santa Sede nell'aprile 2015».
È finito il tempo delle esenzioni fiscali?
«Le esenzioni rimarranno sui salari dei dipendenti vaticani. In ogni caso tutti i possessori di conti presso lo Ior pagheranno in Italia le imposte sui redditi da capitale».
Regole certe e stop alla discrezionalità?
«Sì. Anzi: come segno di serietà e impegno la Santa Sede, mai inserita nella black list Ocse, ha accettato che l'accordo sia retroattivo. Si potranno chiedere informazioni fiscali dal 2009».
D'accordo, ma quando?
«Non dipende più da noi, il Parlamento sta ratificando l'intesa».
Intanto, l'intelligence fa il suo lavoro?
«Non siamo noi, ma i numeri a dirlo. Le 544 segnalazioni nel corso del 2015, le 380 collaborazioni avviate con le Uif di diversi Paesi, più le 12 a livello di Vigilanza, infine le 8 transazioni sospese e i 4 rapporti bloccati, perché qualcosa o più di qualcosa non convinceva. Al punto che si è stabilito di congelare le posizioni complete di quei clienti, per un totale di oltre sette milioni di euro. Con ogni probabilità in parallelo èstata informata anche la nostra procura, ovvero il Promotore di giustizia».
E però per qualcuno le riforme attuate da Benedetto e Francesco non
bastano.«Chi vuole criticarci a priori continuerà. Ma credo che si sia voltata pagina. Il passato non tornerà. Le verifiche e le azioni necessarie continueranno nel rispetto rigoroso delle regole volute da Francesco».SteZu
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