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Adesso il malato d'Europa è la nostra democrazia: unici ancora in emergenza

Sui giornali torna l'allarmismo e commenti che giustificano la proroga. Ma nessuno fa come noi

Adesso il malato d'Europa è la nostra democrazia: unici ancora in emergenza

Nel 2005, quando l'Economist attribuì all'Italia il poco invidiabile titolo di «the real sick man of Europe», il «vero malato» soffriva di disturbi di carattere politico-economico. Chi poteva immaginare che nel 2020 l'eccezione italiana avrebbe riguardato il sistema democratico stesso? Eppure è proprio così. E un banale esame di diritto europeo comparato lo conferma.

Non tutti i Paesi dell'Unione hanno reagito alla sfida del coronavirus attribuendo poteri speciali al proprio esecutivo, alcuni avevano già all'interno del proprio ordinamento strumenti adatti ai problemi posti dall'epidemia, attivabili in via eccezionale. Tra coloro che hanno dichiarato un vero e proprio stato d'emergenza, come quello che ora il premier Conte vuole prorogare di sei mesi, solo in Italia e Francia è ancora attivo. E in Francia (dove ha assunto la forma specifica di «emergenza sanitaria») termina il 24 luglio. E non a caso, sono due Paesi i cui governi stanno vivendo una fase di particolare fragilità politica.

Ma non è tutto: l'Italia è tra i pochissimi Paesi in cui l'emergenza è stata dichiarata dal governo senza alcun passaggio parlamentare per settimane e ha il record di durata. La Francia, ad esempio, lo ha dichiarato molto in ritardo, ad aprile, ed è già alla seconda proroga, perché la scadenza degli stati d'emergenza non è mai così lunga (sei mesi) come ha scelto di fare l'Italia. Il fattore tempo è molto importante, infatti quando Viktor Orban si attribuì i poteri speciali senza porre una data di scadenza, piovvero accuse di autoritarismo da tutta Europa. Eppure il parlamento ungherese ha revocato i poteri speciali già tre settimane fa. Perfino la Polonia, dove il governo è accusato da tempo di aver messo in crisi lo stato di diritto, ha avuto uno stato d'emergenza di tre mesi, la metà dell'Italia.

Il Belgio, dove la Costituzione è molto rigida in tema di sospensione dei diritti, i «pouvoir speciaux», i poteri speciali, sono stati attribuiti solo dopo che il governo ha ottenuto la fiducia di quasi tutti i partiti dell'arco parlamentare ed è stata istituita una commissione che ne controlla costantemente i provvedimenti eccezionali.

L'Italia invece, si appresta a estendere a una durata record di un anno lo stato d'emergenza sulla spinta di una coalizione che non ha mai sottoposto il proprio programma al voto, capeggiata da un premier che non è mai stato nemmeno candidato al Parlamento.

Ma quello che davvero sorprende, è il clima in cui si arriva all'irrituale annuncio buttato là in modo apparentemente casuale da Conte. Il coronavirus non è un problema risolto, ma il termometro più affidabile del livello di problematicità, il numero di persone in terapia intensiva, è al minimo dall'inizio dell'epidemia. Molti quotidiani infatti avevano relegato il consueto bollettino dei contagiati nelle pagine più interne. Fino a pochi giorni fa, quando improvvisamente il tam tam allarmista è ripartito. E ieri, dopo l'annuncio di Conte, è improvvisamente tornato nelle prime pagine.

Singolare anche il coro dei commenti. Da Massimo Franco sul Corriere a Marcello Sorgi sulla Stampa, il refrain è più meno lo stesso: Conte è stato un po' improvvido nei modi, ma la proroga «è normale».

Come se i poteri speciali fossero l'unico modo di gestire un'emergenza dai contorni sempre minacciosi ma ormai noti. E se è tanto normale, cari commentatori, come mai siamo gli unici in Europa?

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