"Afghanistan goodbye". Gli americani si ritirano dalla base di Bagram

Sgomberato l'avamposto a Nord di Kabul. In Italia nessuna autorità accoglie la Folgore

"Afghanistan goodbye". Gli americani si ritirano dalla base di Bagram

«Afghanistan goodbye» per sempre. Le truppe americane si sono ritirate, dopo 20 anni, dalla base aerea di Bagram, la più grande del paese simbolo dell'intervento Usa in Afghanistan. Sotto una delle piste è interrato un pezzo delle Torri gemelle portato dai vigili del fuoco di New York dopo l'attacco dell'11 settembre, che ha provocato l'intervento contro i talebani e Al Qaida.

Il presidente americano Joe Biden ha ribadito: «Siamo stati in questa guerra per 20 anni. Penso che abbiamo la capacità di sostenere governo» afghano. E ha difeso l'11 settembre, anniversario delle Torri Gemelle, come data di fine missione. In realtà, dopo il ritiro da Bagram, e degli altri contingenti, compreso quello italiano, ci sarebbero meno di 2.500 soldati stranieri nel Paese. E dopo l'11 settembre dovrebbero rimanere solo 500 turchi a Kabul, per garantire la sicurezza dell'aeroporto, ma non c'è ancora un accordo definitivo. E 650 americani per la difesa dell'ambasciata comandati dal generale dei marines, Frank McKenzie. Il generale Scott Miller, ultimo comandante della missione Nato, sembra che lascerà l'Afghanistan a breve, forse a fine luglio, prima dell'11 settembre.

I talebani hanno cantato vittoria. Non solo: problemi di coordinamento fra forze Usa e l'esercito afghano hanno lasciato via libera alla popolazione locale che è entrata nella base abbandonata saccheggiando quello che trovava nonostante gli americani avessero portato via quasi tutto. Poi le truppe afghane hanno preso il controllo dello scalo militare, 69 chilometri a Nord di Kabul, costruito ancora ai tempi dell'invasione sovietica. Nel 2001 la torre di controllo era la prima linea fra i mujaheddin appoggiati dai B52 e i talebani annidati sull'altro lato della pista principale. Per 20 anni Bagram è stata la base nevralgica delle operazioni in Afghanistan e del cruciale appoggio aereo alle truppe impegnate in combattimento.

Il ministero della Difesa di Kabul ha annunciato con un tweet che «d'ora in poi le forze armate afghane proteggeranno la base e la utilizzeranno per combattere il terrorismo». I talebani si sono rallegrati per «la vittoria» spiegando che l'ammaina bandiera americano «è il risultato dei nostri sacrifici». Secondo il portavoce Zabihullah Mujahid «per il momento» non hanno intenzione di attaccare la base.

L'obiettivo dell'offensiva talebana è conquistare quanti più distretti possibili per stringere d'assedio i capoluoghi di provincia. Solo negli ultimi due mesi hanno occupato 80 distretti e stanno penetrando nella periferia di alcuni capoluoghi, soprattutto al Nord, come Kunduz e Faizabad dove ieri sono stati uccisi 24 soldati afghani. Altre città come Mazar i Sarif, la più importante dell'Afghanistan settentrionale, è minacciata dagli insorti. E si stanno avvicinando a Talaqan, Maimana e Pul i Kumri. Otto province con l'entroterra già in mano ai talebani rischiano di cadere completamente nelle prossime settimane o mesi.

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha lanciato l'allarme sul rafforzamento dell'Isis nel Nord del paese al confine con le ex repubbliche sovietiche dell'Asia. L'incerto appoggio aereo americano arriva da basi fuori dal Paese e guidato non più da Bagram, ma dal comando strategico di Tampa in Florida.

La guerra, che non abbiamo vinto, ha anche un vergognoso risvolto finale.

Nessuna autorità politica o istituzionale di livello ha accolto al rientro in patria gli ultimi voli da Herat con il generale dei paracadutisti Beniamino Vergori e la bandiera di guerra del 186° reggimento Folgore, dopo vent'anni di sangue e sudore versati in Afghanistan.

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