Francesca Angeli
Roma La Corte Costituzionale cancella l'obbligo del cognome paterno. D'ora in poi anche in Italia ci sarà libertà di scelta per quello materno. La Consulta questa volta ha deciso ed ha dichiarato illegittima l'automatica attribuzione del cognome paterno anche nel caso di una volontà diversa da parte dei genitori.
Una piccola grande rivoluzione per un paese come il nostro dove da decenni si discute se aprire o meno ad un cambiamento che arriva paradossalmente come conseguenza di un ricorso presentato da una coppia italo-brasiliana che risiede a Genova.
I genitori volevano registrare il bimbo nato con il doppio cognome come si fa in Brasile spinti forse più che da una questione di principio da un'esigenza di praticità, per semplificare i documenti del figlio che ha la doppia cittadinanza.
La richiesta della coppia era stata respinta e di qui il ricorso davanti alla Consulta che ieri ha diramato una nota annunciando di aver «accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Genova sul cognome del figlio ed ha dichiarato l'illegittimità della norma che prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo in presenza di una diversa volontà dei genitori». Le motivazioni della sentenza, relatore Giuliano Amato, saranno rese note più avanti.
Non è la prima volta che la Consulta si occupa della questione. Già nel 2006 aveva affrontato un caso molto simile. Allora però la scelta di giudici costituzionali era stata diversa perché la questione era stata dichiarata inammissibile. Pur riconoscendo che l'attribuzione automatica del cognome paterno era «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» la Consulta aveva chiarito che spettava al legislatore e dunque al Parlamento legiferare in materia.
Come mai ora la Corte Costituzionale ha cambiato idea? Probabilmente perché sono passati dieci anni e in Italia nulla è cambiato. Una legge che apre alla possibilità di scegliere il cognome da attribuire è stata in affetti approvata un paio di anni fa dalla Camera ma è poi rimasta incagliata in Senato. Dunque il legislatore in realtà è rimasto inerte nonostante il sollecito della Consulta e soprattutto nonostante il monito di Strasburgo.
Un paio di anni fa infatti la Corte Europea per i diritti umani condannò l'Italia per aver violato i diritti di una coppia di coniugi ai quali era stata negata la possibilità di attribuire alla figlia il cognome della madre anziché quello del padre. La sentenza di Strasburgo, che non aveva un valore vincolante, esortava il legislatore italiano ad intervenire immediatamente sulla materia.
Soddisfatti gli avvocati matrimonialisti. «Finalmente l'Italia è uscita da patriarcato» commenta il presidente dell'Associazione degli Avvocati matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani. Anche per Maria Rita Parsi, psicologa dell'età evolutiva e componente del Comitato Onu per i Diritti dei Bambini, si tratta di una sentenza giusta perché rispetta i diritti delle donne e dei bambini».
Anche se in clamoroso ritardo e dopo essere stati
ripetutamente rimproverati ora i senatori promettono di darsi da fare per approvare il testo fermo da mesi. Sergio Lo Giudice, Pd, relatore della legge approvata dalla Camera due anni fa ammette «è ora di colmare questo ritardo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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