Roma - Per tutto quello che è buono e giusto potrebbero mancare i soldi. Tutto quello che è buono e giusto e, soprattutto, non costa nulla, è invece messo a rischio dalla guerra santa ideologica, in particolar modo della sinistra Pd. Il «Jobs Act 2» di Matteo Renzi si può riassumere così. Alla ripresa dei lavori a settembre, il Senato sarà chiamato a esprimersi sulla legge delega connessa al decreto Poletti, poi toccherà alla Camera. A Montecitorio potrebbe «ingorgarsi» con la legge di Stabilità e, quindi, il nuovo testo sacro sulla riforma del mercato del lavoro potrebbe vedere la luce all'inizio del 2015, ancorché i parlamentari non siano chiamati a esprimersi sul provvedimento e il loro voto serva solo a dar il via libera a Renzi & C. a metter mano alla legge.
La parte più controversa è quella a costo zero. Il presidente del Consiglio ha promesso di cambiare lo Statuto dei Lavoratori senza toccare l'articolo 18 che tutto il centrodestra (tanto Ncd quanto Fi per motivi diversi) vorrebbe definitivamente eliminare. Renzi vuole introdurre il famoso contratto a tutele crescenti. La nuova formula prevede la possibilità di licenziare i lavoratori senza giusta causa nei primi tre anni dall'assunzione a tempo indeterminato. In quel caso il lavoratore sarebbe indennizzato in base al periodo di servizio, mentre l'azienda dovrebbe restituire gli sgravi per l'assunzione. La proposta non è malvagia e recepisce le indicazioni del giuslavorista liberal Pietro Ichino, ma comporta alcuni problemi. In primo luogo, alla Camera il presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, potrebbe scatenare l'inferno perché ancora «attaccato» alle vecchie tipologie contrattuali.
L'altro problema è tecnico e lo spiega l'esperto di lavoro e previdenza Giuliano Cazzola (Ncd). «Il contratto a tutele crescenti - afferma - è un sarchiapone perché non evita la possibilità di reintegra da parte del giudice del lavoro. Occorre eliminare questa possibilità, salvo i licenziamenti discriminatori, e valorizzare la parte dell'indennizzo». Va da sé, aggiunge Cazzola, che il contratto a tempo determinato (per cui il decreto Poletti ha eliminato la causale da specificare nelle assunzioni) resti il più conveniente per le aziende, soprattutto se il ricorso della Cgil alla Commissione Ue non dovesse passare. Ma abolire la reintegra significherebbe, di fatto, abolire l'articolo 18 e così si torna al punto di partenza.
I problemi economici, invece, sono di difficile soluzione per un Paese sovraindebitato. Matteo Renzi vorrebbe «allungare» l'Aspi (il sussidio di disoccupazione introdotto dalla riforma Fornero che sostituirà la Cigs in deroga) per i lavoratori a basso reddito. La versione globale costa 7,5 miliardi, quella per i soli indigenti 1,5 miliardi.
«La riforma Fornero prevede la copertura dell'Aspi con l'eliminazione della Cigs in deroga (poco meno di 2 miliardi di spesa annua, ndr ). Sarà difficile trovare nuovi fondi all'interno di quel capitolo», osserva Cazzola. Un altro nodo è quello del sostegno alla maternità e degli «over 50» disoccupati. Per le giovani madri lavoratrici il governo vuole introdurre un sussidio che consenta loro di conciliare tempi di lavoro e ruolo di madre. Giusto, ma i soldi? «O si trovano soluzioni mutualistiche, cioè con tutte le aziende che versano la quota a un fondo, o è molto difficile», chiosa Cazzola.
La tutela dei cinquantenni disoccupati da avvicinare alla pensione è un altro rebus. In pratica, sarebbe un modo surrettizio di scassinare la riforma Fornero, abbassando l'età pensionabile. La sinistra Pd ci spera, ma la partita sarà durissima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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