Calcio

Da Ali a Pablito, gli eroi dello sport traditi da un male

Muhammad tormentato una vita dal Parkinson, la salute precaria di Maradona, il cancro di Rossi

Da Ali a Pablito, gli eroi dello sport traditi da un male

Forte contro tutto, ma la malattia sfidata come sanno fare i guerrieri, alla fine, gli ha fatto gol. Ciao inimitabile Sinisa che hai dato speranza, idee, nella tua meravigliosa odissea dell'esistenza fra il segno dell'acquario e quello dei pesci. Come diceva il grande bardo i coraggiosi trovano il giorno della morte una volta sola contrariamente ai vili. Tu hai saputo sfidarla convincendoci che la ragione di vivere è quella di poter restare morti a lungo, immortali nella memoria della gente. Vale per gli artisti, gli scienziati, i grandi che hanno dato luce nella gestione degli stati, nell'arena del grande sport.

Sono giorni di malinconia in mezzo a feste con troppi abbracci finti. Mihajlovic ci ha lasciato con lo stesso vuoto dei giorni in cui se ne sono andati altri eroi dell'arena. Adesso accendiamo una fiaccola sotto la finestra di Gianluca Vialli nella speranza che faccia come lo ha esortato il suo ex compagno Cabrini, trovando la forza di correre oltre la signora in nero, come, purtroppo, ultimamente non è riuscito a fare Paolino Rossi, anche se il suo sorriso è sempre con noi, come non ha potuto fare dopo galoppate storiche il mezzofondista Murray Halberg, campione olimpico che il rugby aveva storpiato, ma non battuto.

Non esiste difesa adeguata, schema logico, per evitare che sia la morte a segnare il gol decisivo anche urlandole in faccia. Come diceva Dumas, chi muore vive, mentre chi vede morire perde sempre. Sinisa e il suo modo di cercare una difesa, proprio come sta facendo Vialli. La trappola che non permise a Maradona di cercare altre magie esistenziali dopo quelle infinite sul campo di calcio. Il tormentato corpo a corpo di Cassius Clay che nei giorni della gloria come Muhammad Ali scoprì che tutte quelle battaglie, non soltanto sul ring, gli avrebbero rubato quasi tutto, anche se nel giorno dell'apertura ai giochi olimpici di Atlanta eravamo tutti in ginocchio pregando per quel campione tremolante che diceva alla bella gioventù olimpica continuate a credere di poter vincere contro la maledetta.

I gol della malasorte, la cattiveria dei testa coda per gli assi del volante e quella notte all'obitorio dove avevano portato Ayrton Senna tradito da una parabolica infame ci ha ossessionato come nei giorni, eravamo bambini, quando l'Italia si fermò per la tragedia di Superga che rubò la vita al grandissimo Torino.

Odissea nello spazio verde di tanti stadi, nell'atmosfera infuocata di un ring nello Zaire, nel tramonto vicino al barrio dove Diego aveva sconfitto la povertà, diventando il Mozart del pallone, affrontando la sfida a petto in fuori. Un modo per insegnare a vivere a chi è rimasto, sapendo che la medicina fa grandi cose ma deve anche arrendersi, che il destino per tutti i toreri dello sport è sempre il peggiore dei bari, ma capita d'inciampare nella radice malata, di non trovare l'angolo cieco dove Paolino Rossi si faceva trovare per trovare l'impossibile fino al titolo mondiale in quel 1982 dove la Spagna e il grande calcio scoprirono Pablito. Sulla collina dove i nostri campioni sono andati a guardare un mondo che ancora si fa la guerra troveranno tanti amici, una squadra, una palestra, una pista, un motore urlante, una piscina. Nella nostra Spoon River sportiva giocheranno, combatteranno ed alleneranno ancora.

Saranno sempre i nostri derubati della vita nell'attimo in cui tentavano di evitare il gol definitivo, il ko, il testa coda, il rigore che, prima o poi, tocca a tutti di subire.

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