Domanda: la spazzatura dei malati di Coronavirus (parliamo di quelli in cura a casa, non degli «ospedalizzati») che fine fa? Risposta: finisce nell'immondizia «generica», alias «indifferenziata». È strano, ma è così. E ancora più strano è che questa rischiosa procedura (i virologi sono d'accordo nel ritenere tali rifiuti «pericolosi», nonché «potenziali diffusori di contagio») abbia il placet di due autorevoli organismi preposti alla tutela della sanità pubblica: l'ISS (Istituto Superiore della Salute) e l'ISPRA (Istituto Nazionale per la Protezione e la Ricerca Ambientale). In due documenti ufficiali - il primo datato «13 marzo», il secondo «23 marzo» - entrambi gli organismi si pronunciano sul seguente tema: «La gestione dei rifiuti di malati infetti trattati domiciliarmente».
Ma cosa prevede in materia la legge? «Secondo il Dpr 254/2003 per la produzione di rifiuti, il malato domiciliare è trattato come uno studio medico». In concreto significa che operatori specializzati dovrebbe ritirare periodicamente i rifiuti sanitari contenuti all'interno di appositi sacchetti e contenitori da smaltire successivamente in impianti adibiti ad hoc. Si tratta del protocollo seguito rigorosamente negli ospedali, ma che in questi giorni di epidemia non viene adottato nei riguardi dei malati positivi al tampone «ricoverati» nel proprio domicilio.
A spiegare la lacuna sono le stesse informative ISS e ISPRA. Scrive l'Istituto Superiore della Sanità nel documento «Indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell'infezione da virus sars-cov-2» pubblicato lo scorso 13 marzo: «La situazione ideale sarebbe riferirsi al DPR 254/2003 e che pertanto, i rifiuti urbani provenienti dalle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o in quarantena obbligatoria, dovrebbero essere considerati equivalenti a quelli che si possono generare in una struttura sanitaria». Premessa virtuosa, ma ecco arrivare la «deroga» che smentisce tutto: «Nella consapevolezza che la procedura sopra descritta potrebbe essere di difficile attuazione, anche per l'assenza di contratti in essere con aziende specializzate nella raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti infettivi». Dettaglio importante: l'iter indicato dall'ISS nello stesso giorno veniva recepito come «guida pratica» addirittura dal Ministero della Salute. Finendo così per legittimare un modus operandi nocivo, con il contagiato che getta materiale infetto nel bidone dell'«indifferenziata»; col rischio - remoto, ma pur sempre possibile - di veicolare il virus, soprattutto se il sacchetto infetto viene lasciato nei cassonetti in strada, e quindi praticamente all'aperto.
Dieci giorni dopo, il 23 marzo, prende posizione anche l'ISPRA declassando gli speciali rifiuti medici al rango di semplici rifiuti indifferenziati ed equiparando «i rifiuti prodotti da persone infette trattate domiciliarmente a rifiuti generici».Altrettanto preoccupanti appaiono le indicazioni per lo smaltimento di questi rifiuti, che arrivano alla possibilità del «semplice conferimento in discarica», senza nessuna precauzione se «non evitare il più possibile la loro movimentazione nelle cave».
Tutto questo con evidenti rischi per tutti, in primis gli operatori ecologici delle aziende che gestiscono i rifiuti urbani.
Ma i rifiuti prodotti in casa dalle persone contagiate non sono normali «rifiuti urbani». La loro gestione dovrebbe essere delegata a ditte con operatori specializzati e adeguatamente protetti.Il ministro della Salute, Roberto Speranza, faccia sentire la sua voce.
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