Altre accuse, ma Bellomo risale in cattedra

Anche Milano indaga per reati fiscali sul magistrato nella bufera per le molestie alle allieve

Altre accuse, ma Bellomo risale in cattedra

Milano - Giubbotto di cuoio nero alla Fonzie, maglietta bianca, i brocardi latini citati come se piovesse: rieccolo, Francesco Bellomo, il giudice del Consiglio di Stato finito nella bufera per la sua disinibita gestione dei corsi per aspiranti magistrati. Solo un lieve, continuo tic all'occhio sinistro racconta che lo stress di questi giorni, la preoccupazione per la sua carriera finora inarrestabile, scuotono quest'uomo che sembra un ragazzino. «La deviazione degli effetti del contratto con particolare riguardo alla protezione dei terzi», è il titolo della lezione scelta da Bellomo per riapparire agli alunni milanesi dei suoi corsi. Prima della tempesta, Bellomo nel capoluogo lombardo teneva lezione in un hotel cinque stelle, il Grand Visconti Palace di viale Isonzo. Quando iniziarono le prime nubi, radunava gli allievi nello stesso hotel, ma appariva via schermo. Ieri, per la lezione, sceglie la diretta streaming dal sito. Ma la connessione traballa peggio della carriera di Bellomo, le frasi sulla «clausola di salvezza» si spezzano a metà, la lezione diventa inascoltabile. Anche questo, forse, è un segno dei tempi.

A Milano, la Procura della Repubblica ha aperto una sua inchiesta a carico di Francesco Bellomo. Per ora il fascicolo è assegnato al dipartimento reati sessuali, diretto dal procuratore aggiunto Letizia Mannella, per accertare se anche le allieve milanesi del consigliere di Stato abbiano ricevuto molestie come le loro colleghe dei corsi di Roma e di Bari. Ma il vero tema dell'indagine rischia di essere quello sui reati fiscali, sul sistematico accumulo di fondi neri da parte del magistrato. Perché proprio nel capoluogo lombardo la scuola di Bellomo, la «Diritto e Scienza», aveva buona parte dei suoi corsisti. E qui teneva le tariffe più alte: «Evidentemente - racconta al Giornale uno degli allievi - pensava che qui fossimo tutti più danarosi».

Che accumulasse soldi in barba al fisco appare certo: «L'iscrizione al corso si pagava con regolare fattura racconta l'allievo - ma poi c'erano una serie di extra. Una lezione di estrema importanza, come l'esercitazione pratica per il tema d'esame, costava duecento euro se si pagava in nero, duecentocinquanta se si voleva la fattura. Ovviamente, molti di noi sceglievano la prima strada». Quante persone partecipavano a ogni lezione? «Tra le cento e le centocinquanta». I conti sono presto fatti.

Com'era, Bellomo? «Terribile, arrogante, ma bravissimo». «Le sue lezioni erano una sorta di evento. Arrivava sempre vestito di bianco, dal vivo dimostra venticinque anni, non so come faccia. In prima fila, nella sala dell'albergo, c'erano solo le sue borsiste: abito da sera, scosciatissime. La prima volta che le ho viste, francamente mi sono sembrate delle escort più che delle aspiranti magistrate». Con le altre, con le corsiste ordinarie, ci provava? «Io non ho mai visto niente di anomalo. Piuttosto, col senno di poi, ripenso a certe lezioni della fine dell'anno scorso, quando probabilmente aveva già saputo che c'era un procedimento disciplinare a suo carico: tenne tutta una spiegazione sul fatto che se un contratto civile prevede lo scambio di contropartite sessuali non è illecito, perché c'è la libera determinazione delle parti».

A richiamare in massa ai corsi della sua scuola, c'erano le percentuali che Bellomo poteva vantare di allievi poi diventati magistrati: «Ma più di questo specchietto per allodole, a convincermi a iscrivermi è stata la qualità dell'insegnamento.

Quello che non ero preparato a trovare era il clima surreale che si respirava intorno a lui, una sorta di culto della personalità che lui istigava apertamente. E ancora meno ero pronto a accettare il sistema dei pagamenti sottobanco: ma come, dici di fare di noi dei magistrati e poi sei il primo a rubare?».

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