RomaL'operazione sobrietà è stata gestita ad arte dal Quirinale, per l'immagine del nuovo presidente. In particolare, quando una nota ufficiale ha comunicato che Sergio Mattarella aveva scelto un segretario generale, Ugo Zampetti, che eserciterà le sue funzioni «senza compenso alcuno».
Naturalmente, coro di sorpresa ammirata per il beau geste del grand commis dello Stato che, lasciata la Camera con una ricca pensione dopo 40 anni di cui 15 come segretario generale, saliva al Colle senza nulla chiedere. Fini commentatori hanno scritto del fatto come ultimo segnale dello stile austero inaugurato da Mattarella al Quirinale, dopo la Panda grigia, il viaggio a Palermo sull'aereo di linea e l'apertura al pubblico del Palazzo presidenziale.
Peccato, che nessuno ci abbia spiegato che in realtà Zampetti non ha fatto alcuna scelta. Semplicemente, una legge gli imponeva di non cumulare retribuzioni pubbliche ad una pensione superiore al tetto dei 240mila euro lordi l'anno. E la sua è ben oltre il doppio, se l'ultimo stipendio alla Camera era di 478mila euro lordi l'anno, più l'indennità di 662 euro al mese: due volte quella del capo dello Stato.
Il fatto è che il tetto fissato dal governo Renzi per i manager pubblici, appunto di 240mila euro annui lordi, esclude anche la possibilità di una retribuzione pubblica aggiuntiva. La norma è stata già applicata ad alcuni alti burocrati che, dopo la pensione, sono diventati consiglieri di Stato ma lavorano praticamente gratis.
È vero che il limite imposto alla Pubblica amministrazione dalla riforma non si applica direttamente agli organi costituzionali come Camera e Senato, Corte costituzionale e Quirinale, ma si auspica che si adeguino alle norme secondo la loro «autodichìa». E, vista l'aria che tira, dopo le Camere anche la presidenza della Repubblica ha recepito le nuove regole nel suo ordinamento interno, per volere di Giorgio Napolitano poco prima delle sue dimissioni. Per sfortuna di Zampetti e di altri come lui.
Così, l'altra possibilità del nuovo braccio destro di Mattarella era quella di rinunciare alla pensione di mezzo milione di euro e scegliere solo lo stipendio di 300 mila euro lordi l'anno del suo predecessore Donato Marra. Ma non gli conveniva certo. E, ben felice, è salito al Quirinale «senza compenso alcuno». In più, con l'aureola.
D'altronde, sarebbe stato davvero paradossale se l'avesse fatta franca una seconda volta proprio lui, che al fianco della presidente di Montecitorio Laura Boldrini aveva imposto sanguinosi tagli ai dipendenti, uscendone personalmente indenne a fine dicembre con la sua pensione d'oro, giusto alla vigilia dell'applicazione a gennaio 2015.
C'è un'ultima osservazione da fare.
Se l'obiettivo del governo Renzi era non solo di risparmiare ma anche di «svecchiare» la Pubblica amministrazione, in cui certi ruoli di civil servant se li scambiano sempre gli stessi personaggi, stavolta sul Rottamatore vince il potente Mandarino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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