Amatrice vuole rinascere senza le «new town» Ma si rischiano i container

Terremotati e governo bocciano l'ipotesi villaggi: meglio riedificare il borgo. "Serviranno 10 anni"

Amatrice vuole rinascere senza le «new town» Ma si rischiano i container

Amatrice vuole rinascere dalle sue macerie. Si deve cominciare dalla scuole per dare subito la speranza ed il senso del futuro. E poi le case, le strade, le piazze. Tutto com'era. Anzi com'era ma meglio perché questa volta sarà edificato con criteri antisismici.

Questa la strada che vogliono intraprendere i terremotati. I vecchi che sono nati e restati lì ma anche i giovani che se ne sono andati a lavorare in città ma che ogni estate tornano a passare nel paese delle loro radici qualche giorno di vacanza. Anche i figli ed i nipoti vogliono restare e ricostruire, ritrovare quello che non vogliono credere perduto per sempre. E dunque dicono «no» al modello Aquila, no alle «new town». É questo adesso il fulcro intorno al quale si concentrano le polemiche sulla ricostruzione del dopo terremoto. Come e dove riedificare paesini, piccoli borghi e frazioni che in alcuni casi, come quelli di Amatrice, Accumoli e Arquata sono stati praticamente rasi al suolo. L'esempio da non seguire è quello dell'Aquila ha subito avvertito il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La «new town» edificata all'Aquila spaventa e viene vissuta come un allontanamento, un'esclusione dal proprio territorio. Sulla scia delle dichiarazioni di Renzi che all'indomani del terremoto ha subito detto «non faremo gli errori dell'Aquila», si è accodata il presidente della Camera, Laura Boldrini, che durante la sua visita ad Arquata del Tronto ha ribadito che «l'esempio delle new town deve esser superato».

E certamente questa è una scelta che va incontro ai desideri dei terremotati come ha sottolineato pure il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio. «No a città nuove, i paesi rinascano dov'erano - dice il ministro- I sindaci preferiranno ricostruire il proprio paese lì dov'era, non abbandonare quello vecchio per farne uno nuovo da un'altra parte». Ma ricostruire comporta tempi lunghi. E visto che le tende non sono una soluzione il rischio è che si debba ricorrere ai container. Il più combattivo sul fronte della ricostruzione è proprio il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, che vuole vedere il suo paese rinascere. I passaggi sono quelli obbligati. Prima le tende che dovranno essere superate nel giro di due, tre settimane al massimo. «Non voglio quartieri ghetto», dice Pirozzi che ha chiesto vengano edificate al più presto casette di legno tipo quelle del Trentino, «idonee a questo territorio». Pirozzi sogna di veder rinascere su quella stessa terra un centro storico analogo a quello che è andato distrutto dal punto di vista estetico ma ovviamente sicuro dal punto di vista sismico.

C'è chi la pensa diversamente come l'ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, che ieri in un'intervista al Giornale si è detto scettico sui tempi di una ricostruzione puntuale sullo stesso territorio. Il rischio, spiegava, è quello di tempi lunghissimi, 10 anni come minimo come è già accaduto nel post terremoto del '97. Il paragone con l'Aquila appare immotivato e fondamentalmente inutile. Il numero degli sfollati intanto era enormemente superiore: 50mila contro i 2/3mila di oggi. Ben diversa quindi la difficoltà di sistemazione.

Il centro storico del capoluogo abruzzese aveva poi caratteristiche uniche e la ricostruzione si presentava estremamente complessa. Nel caso di Amatrice che di fatto purtroppo è stata quasi rasa al suolo la ricostruzione sul territorio potrebbe non presentare le stesse difficoltà.

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