Politica

Ammortizzatori sociali, la riforma parte in salita. Sulle risorse buio totale

Nulla di fatto tra Orlando e le parti sociali. Dubbi di Confcommercio: "Quanto ci costa?"

Ammortizzatori sociali, la riforma parte in salita. Sulle risorse buio totale

Ci si rivede a settembre per parlare di politiche attive. Il tavolo in videoconferenza di ieri tra il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e le parti sociali è stato praticamente un'occasione per illustrare a sindacati e datori di lavoro la bozza di riforma degli ammortizzatori sociali, ma il merito degli interventi è rimasto purtroppo inevaso. Come spiegato bene dal presidente di Confartigianato, Marco Granelli. «Siamo convinti della necessità di costruire un sistema di protezione sociale più inclusivo ed equo, ma restiamo in attesa di poter quindi valutare l'impatto sul costo del lavoro», ha dichiarato. Concetto rafforzato da Mauro Lusetti, presidente dell'Alleanza delle Cooperative. «Il costo della riforma non può essere posto esclusivamente in capo alle imprese, ma deve essere sostenuto da tutti i soggetti coinvolti», ha detto.

«Occorre chiarire in che modo l'inclusività delle prestazioni dei nuovi ammortizzatori si concilierebbe con la sostenibilità contributiva da parte delle imprese», ha chiosato Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio, sottolineando la necessità di definire «l'effettivo concorso della finanza pubblica» (al momento in cassa ci sono 1,5 miliardi su almeno 8 miliardi di maggiori costi). Molto dettagliata la piattaforma della Cisl, ma il minimo comun denominatore è il medesimo. «Permane una forte perplessità relativamente alla coesistenza di un ammortizzatore ordinario e di un ammortizzatore straordinario per tutti i datori di lavoro», ha commentato il segretario generale Luigi Sbarra evidenziando che «si rischia di introdurre nuove e maggiori aliquote contributive senza che ciò corrisponda ad una effettiva esigenza, con costi eccessivi proprio da parte di quei datori di lavoro che si vorrebbe sostenere», cioè le micro-pmi che dovrebbero rientrare nella nuova cassa integrazione. Nel tavolo del 2 settembre sulle politiche attive del lavoro tutte queste perplessità verranno ribadite dalle parti sociali giacché, al momento, non è chiaro quanto il governo stanzierà in sede di legge di Bilancio dopo che la precedente versione della riforma era stata rispedita al mittente dal Tesoro.

Tra le incognite resta anche la Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) perché non si sa in cosa consisterà (ma ci sono 4,4 miliardi del Pnrr), ma si sa che riguarderà anche i lavoratori in Cigs per prospettata cessazione e gli autonomi che hanno chiuso la partita Iva oltre ai percettori di reddito di cittadinanza, Naspi e cassa ordinaria. Dovranno poi essere definiti gli sconti contributivi per le aziende che assumono lavoratori in cigs e per i fondi interprofessionali che organizzano percorsi di formazione.

Insomma, un calderone di strumenti per i quali è necessario trovare il giusto amalgama considerato che l'universalizzazione della cassa, al momento, suona maggiormente più come il prolungamento dell'agonia di un'impresa che una misura di ricollocazione. Lo stesso discorso può applicarsi al decreto in rampa di lancio contro le delocalizzazioni: la misura allo studio del ministero del Lavoro prevedrebbe l'obbligo di preavviso di 6 mesi per le imprese che vogliono lasciare il Paese oltre all'obbligo di usare tutti gli ammortizzatori disponibili predisponendo inoltre un piano di riqualificazione dei dipendenti e di reindustrializzazione del sito produttivo. Pena una multa fino al 2% del fatturato.

Un escamotage per bypassare la norma sulla libertà di stabilimento nell'Ue.

Commenti