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Il gelo del Cremlino pronto a dire "no": guerra fino a Natale (trattando per finta)

Frecciata di Lavrov sulle fughe di notizie della diplomazia Usa. Richiamo all'Alaska

Il gelo del Cremlino pronto a dire "no": guerra fino a Natale (trattando per finta)
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Il messaggio dettato ieri ai giornalisti dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov sembra chiaro: se il nuovo piano di pace "riscritto" da americani e ucraini non corrisponderà alle intese raggiunte ad Anchorage tra Trump e Putin, la Russia avrà le mani libere. Non è ancora un rifiuto ma quasi. E verso questa direzione vanno tutte le previsioni. Alla posizione di merito, tra l'altro, Lavrov ha aggiunto una curiosa notazione di metodo: "La diplomazia russa è "abituata a lavorare in modo professionale" e cioè a "non divulgare né permettere fughe di notizie prima di raggiungere un accordo definitivo".

Osservazione interpretabile in senso neutro, ma che si può mettere in relazione (come una sorta di sommessa critica) al "movimentismo" americano sulle trattative. Solo negli ultimi giorni in prima fila ci sono stati Steve Wittkoff (formalmente inviato per il Medio Oriente) e il genero di Trump Jared Kushner, che hanno cercato di completare l'opera dopo il successo di Gaza, con il piano dei 28 punti. Poi è sceso in campo il segretario di Stato Marco Rubio che a Ginevra ha trattato con ucraini ed europei (e i punti sono diventati 19), mentre a Kiev è arrivato per colloqui con il governo di Volodymyr Zelensky il segretario alla Difesa Usa Dan Driscoll, senza nessuna esperienza diplomatica, ma che ha tra i suoi atout quello di essere stato compagno di università del vice-presidente Vance. Il tutto senza dimenticare Keith Kellogg, inviato speciale della Casa Bianca per l'Ucraina.

Da notare, tra l'altro che lo stesso Driscoll, ieri, ha in qualche modo "dirottato" una riunione già programmata ad Abu Dhabi tra i vertici delle forze di sicurezza russe e ucraine (si doveva discutere di altri temi) per introdurre il tema del piano di pace.

In tutti i casi da fonte americana, compreso Donald Trump ("siamo molto vicini a un accordo") sono arrivate dichiarazioni più che ottimistiche. Ma appare particolarmente difficile distinguere tra "spin" mediatico e realtà. Di sicuro mai come oggi le tre parti in causa potrebbero avere interesse a un'intesa. Per l'amministrazione Trump sarebbe una medaglia da appuntarsi, utilissima per contrastare la popolarità in calo e le possibili ricadute del caso Epstein. Gli ucraini sono in una posizione di debolezza inedita legata alla difficile situazione militare e alla crisi di legittimità conseguenza degli scandali e della corruzione. Anche i russi si trovano di fronte a qualche dato nuovo: la stagnazione sempre più pronunciata dell'economia e i problemi del bilancio statale con la necessità di piazzare titoli pubblici che finiscono nei bilanci delle banche e la necessità di avviare le prime vendite delle riserve d'oro per finanziare l'economia di guerra.

Tuttavia, nonostante il dato di partenza, secondo Vitalii Portnikov, politologo ucraino citato ieri dal New York Times la trattativa non è ancora sul binario giusto. L'amministrazione Trump continuerebbe a equivocare sull'approccio russo "più interessato a obiettivi politici e territoriali che a quelli economici". Il piano di pace, ricco di incentivi finanziari e commerciali, finirebbe dunque per non incidere sul cuore delle questioni che stanno a cuore al Cremlino. "Trump ragiona razionalmente", sostiene Portnikov. "Ma come si fa a essere logici se si tratta con partner irrazionali?".

Il no russo al piano sul tappeto sembra dunque "probabile", scriveva in serata il Washington Post: per i russi "gli ucraini non stanno facendo alcuna concessione; semplicemente ricostruiranno la loro forza con l'aiuto del complesso militare-industriale europeo e, una volta accumulato abbastanza potere, riprenderanno la guerra". Secondo il New York Post la guerra durerà almeno fino a Natale.

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