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Anche la Borsa fa il tifo per Draghi premier

Le diatribe dei partiti e nei partiti, dopo le elezioni locali e gli eventi internazionali hanno oscurato una notizia finanziaria che fa meditare.

Anche la Borsa fa il tifo per Draghi premier

Le diatribe dei partiti e nei partiti, dopo le elezioni locali e gli eventi internazionali hanno oscurato una notizia finanziaria che fa meditare. L'agenzia di rating Standard e Poor's - una delle tre maggiori, assieme a Moody's e a Fitch - ha alzato l'outlook, cioè la previsione sull'Italia da «BBB stabile» a «BBB positivo», che comporta «BBB+», gradino appena sotto ad «A-», con cui si entra nella prima classe, quella privilegiata dagli investitori. Il giudizio favorevole è però collegato a un grande «se»: vale se Draghi rimane al governo per tutto il 2022. Poiché nel febbraio del prossimo anno si eleggerà il Capo dello Stato, ciò implica che se il governo attuale viene meno, noi retrocediamo a «BBB», un livello solo di poco sopra il margine di sicurezza. Ci sono buone ragioni per cui S&P dà l'Outlook solo con un «se». Esso è collegato all'impegno dell'esecutivo Draghi a portare avanti le riforme pro-crescita sia quest'anno sia per tutto il prossimo, con una ripresa spinta dagli investimenti nel 2021 che si rafforza e si consolida nel 2022. Così il Pil dell'Italia alla fine del prossimo anno potrà superare il livello del 2019, con 12 mesi di anticipo rispetto alle previsioni, giustificando il giudizio positivo.

La chiave per ridurre gli elevati livelli del debito pubblico, che è ora al 160% del Pil - dice S&P - sta nella crescita della stessa economia. Ma se la spesa corrente rimane nella stessa percentuale sul Pil, non si riesce ad aumentare la quota degli investimenti che invece aumenterebbero il prodotto interno lordo, riducendo il peso del debito pubblico. L'aumento della pressione fiscale, per trovare le risorse per gli investimenti, infatti, frenerebbe la crescita. Occorre che la spesa corrente non cresca in volume assoluto, ma diminuisca, per lasciar spazio agli incentivi agli investimenti, come la riduzione del cuneo fiscale dell'Irap. Dunque - evidenzia S&P - occorre che il governo Draghi rimanga in tutto il 2022, per varare il suo «ambizioso programma di riforme». Questo include obbiettivi non facili da realizzare: il superamento di Quota 100 sulle pensioni e la minimizzazione della spesa per il Reddito di cittadinanza, che, come ha notato il presidente di Confindustria Bonomi, nel bilancio di previsione per il 2022, è aumentata di un miliardo, portandosi ai 17 annui. Draghi deve riuscire a trovare i miliardi per abrogare l'Irap, senza aumentare i tributi che riducono il risparmio e per abbassare l'aliquota di Irpef che induce a spostare all'estero il lavoro qualificato. E deve attuare le semplificazioni per gli investimenti per fruire del Recovery Plan.

Ergo Draghi, stando al «se» di S&P, per fare il bene per l'Italia deve governare per tutto il 2022 onde varare le riforme, rinunciando, per questo turno, al Quirinale.

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