Anche Orlando adesso ammette: "Certi magistrati fanno politica"

Ad ascoltare il ministro pure Bruti Liberati, il capo della Procura che per anni ha perseguitato il Cavaliere

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando

Roma - Ora lo riconosce anche il ministro della Giustizia. «Certo - afferma Andrea Orlando, alla Festa dell'Unità di Milano - ci sono stati magistrati a cui è piaciuto incarnare la funzione di trasformazione della società, che è invece una funzione politica».

Dice proprio così, «è piaciuto», il Guardasigilli. Risponde sul palco ad una domanda su Silvio Berlusconi e di fronte a lui, giusto in seconda fila, siede nel pubblico Edmondo Bruti Liberati, capo di quella procura meneghina da cui sono partite le principali inchieste sul leader del centrodestra, quelle che alla lunga ne hanno minato il successo politico.

«In tutti questi anni - chiede l'intervistatore - Berlusconi è stato più vittima di se stesso o dei magistrati?». Si aspetta un sì alla prima ipotesi, ma Orlando va per conto suo. Premette di non voler entrare, tantomeno nel suo ruolo di ministro della Giustizia, nel merito delle vicende processuali dell'ex premier, di non voler dare giudizi. Come valutazione «esclusivamente politica» dice che «Berlusconi ha fatto errori enormi nel modo in cui sono stati affrontati questi temi». Però, aggiunge, non si può negare che una parte della magistratura si sia presa uno spazio non suo, in qualche modo ideologico, per interferire sul quadro politico e sociale del Paese, usando le armi come inchieste e processi.

La colpa di tutto questo, per il Guardasigilli, è di chi con la sua latitanza ha lasciato alle toghe campo libero: della politica. Viene data spesso alla magistratura e qui Orlando ammette che di pm e giudici politicizzati, che si sono dati una missione che non dovevano cercare, ce ne sono eccome.

Ma, sottolinea nell'intervista pubblica, «la responsabilità principale è della politica: se invece di fare il commento, o dalla parte della difesa o dei pubblici ministeri, ai processi, provasse a riassumere la sua funzione di cambiare la società, sgraverebbe anche il processo penale di aspettative che sono improprie, perché può registrare delle verità processuali non può cambiare la società».

Proprio il fatto che inchieste e processi siano stati caricati in questi anni di obiettivi e significati politici, per Orlando ha attirato su di essi «una pressione impropria, che poi a volte può creare delle deformazioni».

Se lo dicesse Berlusconi, magari gli revocherebbero i servizi sociali. Ma lo dice, alla festa del Pd, il titolare della Giustizia del governo Renzi. E nei magistrati, a cominciare da Bruti Liberati che lo ascolta in diretta, si rafforza l'idea che le cose sono cambiate e c'è di che preoccuparsi.

Che un ministro della Giustizia parli, pur con moderazione e dovuti distinguo, di magistrati che vogliono cambiare il Paese, è un brutto colpo.

D'altronde, la categoria è in fibrillazione da tempo. Anche se i vertici dell'Associazione nazionale magistrati cercano di muoversi con cautela per non minare troppo il rapporto con il Pd, le critiche alla riforma della giustizia e ai precedenti provvedimenti, soprattutto sul pensionamento anticipato da 75 a 70 anni, sono state chiare.

Nelle mailing list la rabbia delle toghe si esprime liberamente e con toni accesi, contro Renzi e il suo Guardasigilli.

In particolare, sulle nuove norme per il risarcimento degli errori giudiziari che, abolito il filtro attuale, moltiplicherebbe almeno per 10 i ricorsi vinti dai cittadini. Lo Stato si troverebbe a pagare circa 540mila euro all'anno e avrebbe l'obbligo di rivalersi sul singolo magistrato, fino a metà dello stipendio.

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