È come se tante assurdità della giustizia si concentrassero all'improvviso sulla testa di quest'uomo anziano e malconcio, orfano di un passato spettacolare e segnato da una fresca ischemia. Vittorio Cecchi Gori è un concentrato di ex: ex produttore, ex sciupafemmine, ex deputato, ex padrone della Fiorentina, ex simbolo di una Italia arraffona e allegra, geniale e disinvolta. Da giovedì sera, è soltanto un detenuto. Fuori dalla sua stanza d'ospedale la polizia penitenziaria vigila che non se la dia a gambe in pigiama e con la flebo. Appena starà meglio, fanno sapere le fonti giudiziarie, lo porteranno in cella. Lui, con i suoi delitti, il suo passato e i settantotto anni malportati.
L'inizio della fine era suonato alle 19,57 di giovedì, quando dalla Cassazione era stata annunciata la conferma della condanna di «Vittorione» a cinque anni e mezzo di carcere per la bancarotta di una delle sue tante società finite gambe all'aria, la Safin. La Procura generale aveva sommato la nuova sentenza a un'altra condanna, e aveva tirato le somme: otto anni e cinque mesi. L'ordine di carcerazione era partito la sera stessa, rendendo eclatante la prima assurdità: i due fallimenti sono di quattordici anni fa, la giustizia ha impiegato tredici anni per fare i processi (cinque anni solo per il primo grado!) ma quando arriva il conto finale diventa rapida, anzi istantanea. L'ordine viene spiccato senza dare neanche al condannato il tempo di domandare gli arresti domiciliari, come la legge gli consentirebbe. In alcuni tribunali ai condannati viene data questa facoltà, a Roma no. Altro aspetto singolare, in un Paese dove il codice penale dovrebbe essere lo stesso dalle Alpi al canale di Sicilia.
Ma l'aspetto che lascia più sconcertati i molti che ieri insorgono contro l'arresto è l'età del neo-detenuto.
Cecchi Gori compirà 78 anni il prossimo 27 aprile. È quasi un ottuagenario, abita quella fascia d'età dove le risorse fisiche e mentali per fare i conti con una esperienza traumatica come la carcerazione sono forzatamente ridotte. Se lo porteranno in cella, non sarà la sua prima volta: c'era già stato per quattro mesi, all'inizio dell'inchiesta. Ma era più giovane e più tosto. E poi all'epoca, secondo i giudici, c'era l'esigenza di trovare le prove, di impedirgli di nuocere ancora, di fuggire. Oggi a farlo precipitosamente arrestare è solo la pretesa punitiva dello Stato, legittima e cieca.
Ieri, con curioso ritardo, la notizia della cattura di Cecchi Gori diventa pubblica. E partono le reazioni che vanno dallo stupore alla preoccupazione. «È del '42, è minimamente sensato imbastigliarlo?», chiede Giuliano Ferrara. Subito dopo, il regista Marco Risi: «Per una volta la penso come Giuliano Ferrara. Vittorio Cecchi Gori è stato male un anno fa, ha avuto un ictus. Questa cosa rischia di farlo stare veramente male lì dentro. Spero che riesca a starci, ma spero anche gli diano gli arresti domiciliari». Fa eco Lino Banfi: «Sarei felicissimo se dessero i domiciliari a Vittorio Cecchi Gori. Non è solo un fatto di età ma di salute. Andare in carcere può fargli solo male. Hanno concesso i domiciliari a gente che ha fatto cose molto più gravi».
E il confronto tra le colpe dell'ex produttore e quelle di altri inquisiti è reso esplicito da Christian De Sica: «A quel signore che ha ucciso quel ragazzo hanno dato 5 anni e a Vittorio 8 per bancarotta. Che poi Cecchi Gori è stato fregato da tutti nella vita. Non capisco come ragiona la nostra giustizia. E portare in carcere un povero vecchio malato è un po' una follia».
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