
Più che una mossa strategica o politica è un boomerang. Eppure molti esponenti del governo di Benjamin Netanyahu sembrano scommetterci. Primo fra tutti il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich pronto a invocare l'annessione di Gaza dimenticando il grande boom dell'economia israeliana iniziato, non a caso, dopo il ritiro unilaterale dalla Striscia voluto nel 2005 dal premier Ariel Sharon. Ma stavolta non parliamo di soldi bensì di ideologia. Per ministri come Smotrich legati all'idea messianica di un grande Israele tornare a Gaza è una missione religiosa. Per Netanyahu farglielo credere - ipotizzando non una semplice rioccupazione della Striscia, ma addirittura un'annessione - è un modo per tenerlo al governo ed evitare una crisi. E così l'ipotesi di annessione, alimentata da molte fonti governative, è diventata ieri l'apertura di molti quotidiani israeliani.
"Secondo il piano che Netanyahu dovrebbe presentare - raccontava Haaretz - le aree nella zona cuscinetto saranno annesse per prime, seguite da aree nella Striscia settentrionale adiacenti alle città israeliane di Sderot e Ashkelon. Il processo continuerà gradualmente fino a quando l'intera Striscia sarà annessa". Ma tra dire il fare ci sono - in caso di annessione - le leggi internazionali come la Convenzione dell'Aja del 1907 e quella di Ginevra del 1949.
Leggi assai scomode anche per un esecutivo Netanyahu abituato a ignorare i richiami della comunità internazionale. E non solo perché l'annessione unilaterale è considerata un crimine di guerra. In termini pratici le conseguenze più devastanti sono, di fatto, quelle militari ed economiche. Nel 2005 Sharon decise il ritiro quando realizzò che il mantenimento di 3mila soldati - indispensabile per la difesa degli 8.500 coloni di allora - era insostenibile visti i costi finanziari e il numero annuo di soldati morti e feriti. Costi oggi decisamente più elevati visto che l'occupazione del 75% della Striscia, deciso a maggio, richiede almeno cinque divisioni, pari ad almeno 30mila uomini. Anche perché all'eventuale sconfitta di Hamas farebbe seguitò la quasi inevitabile comparsa di nuovi gruppi armati.
Il vero nodo sono però gli altri obblighi che l'annessione comporta. Primo fra tutti garantire i bisogni essenziali della popolazione annessa dall'acqua al cibo, dall'elettricità al riscaldamento, dalla sanità all'istruzione. Necessità soddisfatte oggi grazie ai fondi dell'Onu, della Fao, dell'Ue, del Qatar e di vari altri paesi donatori. E questo senza contare la "bomba demografica", il fattore che più di tutti pesò sulla decisione di Sharon di abbandonare la Striscia. Venti anni dopo quel ritiro, in effetti, la popolazione palestinese è passata dal milione e 400mila del 2005 agli attuali 2 milioni e 100mila. In proiezione futura quei numeri rischiano di soverchiare la popolazione israeliana, soprattutto se associati a quelli della Cisgiordania, e di rendere impossibile quella gestione dell'ordine pubblico elencata fra i doveri di chi si annette un territorio. Ma più centrale di tutti, soprattutto nell'ottica dei progetti israeliani o trumpiani per la Striscia, è il divieto assoluto (art. 49, IV Convenzione di Ginevra) "di trasferire o deportare la popolazione civile dentro o fuori dal territorio occupato".
Tutti doveri che se calpestati o ignorati diventano crimini di guerra sottoposti all'autorità della Corte internazionale di Giustizia dell'Onu e della Corte Penale Internazionale dell'Aja.Insomma annettere, oltre ad essere finanziariamente costoso, rischia di rivelarsi disastroso per la reputazione internazionale dello Stato d'Israele e del suo governo.