«E ravamo come i 300 spartani alle Termopili, ora stiamo diventando un esercito di inesperti e arruffoni..», si sfoga un deputato pentastellato con uno dei colleghi espulsi nel 2014 da gruppo parlamentare e Movimento. Grillo certifica tutti i limiti della sua strategia politica rinnovando, a parole, incondizionata fiducia alla sindaca Raggi senza bonificare la giunta da tutti gli indesiderati, mentre il malcontento fra i peones pentastellati di Camera e Senato sale di ora in ora, insieme alla consapevolezza della propria irrilevanza, aumentando la pressione sui vertici e sullo stesso fondatore.
Il caso Roma ha innescato nel M5s un tutti contro tutti dagli esiti imprevedibili, e i tentennamenti di Beppe Grillo non fanno che accentuare il senso di smarrimento che attraversa le retrovie. Amministratori locali, consiglieri e parlamentari si domandano in queste ore se valgano ancora le regole in nome delle quali hanno fino ad oggi combattuto. Chi governa il Movimento? I duri e puri della prima ora o i pragmatici dell'ultima, che declinano a seconda delle contingenze politiche, principi e valori fondativi a 5 stelle? Il pasticcio ingestibile in cui sta naufragando la giunta Raggi, e con essa i pentastellati romani, origina, è ormai palese, dalla mancanza di una linea politica chiara e da un deficit di trasparenza dei luoghi decisionali che ha sempre più il sapore del contrappasso per chi, al grido di «onestà» vorrebbe conquistare Palazzo Chigi, marcando una differenza anche antropologica con la politica tradizionale. Ma la vicenda romana è almeno in parte il frutto di precedenti dai quali ormai è troppo difficile, se non impossibile tornare indietro. Dal caso del sindaco di Parma Pizzarotti, sospinto da mesi nell'empireo dei sospesi e ignorato come un appestato, dopo esser finito sotto indagine con l'ipotesi di abuso d'ufficio per le nomine al Teatro Regio. Al caso di Livorno, dove il sindaco Nogarin, raggiunto da un avviso di garanzia per bancarotta insieme al suo assessore al Bilancio (in relazione al dissesto della municipalizzata dei rifiuti), è rimasto al suo posto, e ha addirittura incassato la solidarietà del fondatore del Movimento. Forche caudine invece per Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto, mai indagata, ma rea di non aver denunciato i ricatti, derubricandoli a semplici pressioni politiche. Al di là del merito, è sul piano politico che molti, troppi conti cominciano a non tornare. La trasparenza, le costanti consultazioni degli iscritti all'insegna dell'uno vale uno, che fine hanno fatto? È lecito chiederselo, e a farlo in queste ore sono proprio i peones, i parlamentari più lontani da direttorii e cerchi magici.
Un malcontento che si fa veleno: «Troppi terroni che comandano nel direttorio: un romano, e addirittura quattro campani: Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia. È la riscossa di Franceschiello e qui Grillo è stato devastante!», chiosa un parlamentare del nord, avvilito dalla consapevolezza della propria irrilevanza. È il sintomo, e non è l'unico, che sulla vicenda romana tutto rischia di venire giù.
Che la prima vera prova di governo, e di potere, rappresentasse al tempo stesso anche la perdita dell'innocenza era nelle cose, ma distinguo, omissioni, veleni e accuse reciproche, che oggi caratterizzano i vertici, acuiscono la sensazione che la sola
guida di Grillo non basti più a tenere insieme le tante anime che compongono i 5stelle. Quasi che la dipartita del co-fondatore Gianroberto Casaleggio abbia innescato un processo di sfarinamento inarrestabile e irreversibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.