Andamento dei contagi, capacità e tempestività di intervento sul territorio. Sono le due variabili che Vittorio De Micheli, epidemiologo e direttore dell'Ats Città Metropolitana di Milano, deve tenere costantemente sotto controllo. Soprattutto in vista delle riaperture che verranno gestite dalla cabina di regia governo-regioni della quale anche De Micheli fa parte. La Lombardia in particolare ha già sofferto molto e tutti gli agenti in campo invitano alla massima cautela per la riapertura.
In base ai dati che al momento ha a disposizione ritiene che siamo pronti alla ripresa delle attività?
«La situazione epidemiologica ci riporta dati rassicuranti. Ma sono ancora frutto del lockdown. I contagi che emergono oggi risalgono a due settimane fa e dunque fanno riferimento ad una situazione nella quale gli spostamenti erano ridotti al minimo. Quindi occorre fare molta attenzione, i comportamenti individuali corretti conteranno moltissimo».
L'andamento dei nuovi casi è molto diverso tra le regioni, giusto differenziare anche le aperture?
«Bisogna riconoscere che il numero dei nuovi casi in Lombardia è ancora importante. Se parte una nuova Codogno ci vuole poco a fare danno. Però adesso siamo decisamente più preparati per identificare e isolare immediatamente i nuovi casi. In sostanza direi che in Lombardia c'è una situazione opposta rispetto alla maggioranza delle altre regioni. Qui la situazione epidemiologica non è tranquilla mentre i servizi sul territorio sono pronti. In altre regioni c'è invece una situazione molto rassicurante rispetto ai nuovi casi ma registro invece poca reattività dal punto di vista dell'organizzazione dei servizi di risposta ad una eventuale insorgenza di nuovi cluster».
Come vi siete preparati per questa eventualità?
«Identificazione immediata dei nuovi casi: tampone entro 48 ore. È vero che abbiamo una coda di vecchi casi che attendono e mi dispiace ma ora la priorità è impedire che nuovi casi portino in giro il virus. Quindi chi è già in casa in quarantena come sospetto non rappresenta un pericolo di diffusione mentre un asintomatico che va al lavoro sì. Quindi ora il medico di famiglia può ordinare direttamente la quarantena e la verifica per la positività deve arrivare al massimo in due giorni».
Chi effettuerà il controllo sul territorio?
«Abbiamo un buon esercito: 8mila medici di famiglia che con quelli del lavoro arrivano a 10mila. Poi il monitoraggio degli accessi al pronto soccorso e le chiamate al 118 che ora registrano una curva piatta. Se si alza deve immediatamente scattare l'allerta. Ma attenzione questo virus è davvero molto contagioso e non rispetta i confini amministrativi. Anche se i contagi sono più alti qui in Lombardia nessuna regione deve sentirsi al sicuro: tutti dobbiamo rispettare le norme di sicurezza».
In quali ambienti o situazioni ritiene ci siano rischi?
«Possiamo dire che questo virus si comporta come l'influenza nel senso che privilegia ambienti chiusi ed umidi. Quindi è ragionevole sperare che la stagione estiva ci aiuti. Certamente tutti i mezzi di trasporto pubblici sono a rischio insieme con i luoghi di aggregazione. Poi nella Fase 1 abbiamo individuato il problema dei contagi familiari. In prospettiva sarà necessario verificare, una volta identificato un positivo, se è possibile isolarlo dai suoi familiari in casa. Un compito che spetterà ai sindaci: se mancano le condizioni di sicurezza andrà trasferito in strutture ad hoc. Anche nella Fase1 le avevamo allestite ma le persone insistevano per restare a casa ma il contagio familiare è una delle cause dei nuovi contagi in Lombardia».
Quali servizi è necessario potenziare ancora?
«L'assistenza domiciliare, il telemonitoraggio e la telemedicina».
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