L'Italia è un Paese strano. Lo dimostra il fatto che anche un'operazione in sé positiva come una privatizzazione rischia di trasformarsi in un aggravio fiscale per la cittadinanza. L'ultimo caso è rappresentato dalla cessione della rete elettrica delle Ferrovie dello Stato, in procinto di quotarsi in Borsa, a Terna.
Le Fs, risanate da Mauro Moretti (ora a Finmeccanica) e attualmente guidate da Michele Mario Elia, sono in utile e, soprattutto, in buona salute. Ma, visto l'andamento ondivago dei mercati, un «aiutino» al bilancio giova sicuramente. Il governo di Matteo Renzi ha così pensato di inserire un emendamento alla legge di Stabilità per sostenere la privatizzazione di Fs. Venderanno la rete elettrica (circa 8mila chilometri) a Terna per un corrispettivo che, secondo fonti bene informate, dovrebbe aggirarsi attorno a un miliardo di euro e potranno continuare a usufruire dei contributi pubblici destinati alla manutenzione della rete stessa (come previsto dal Contratto di Programma) trasferendoli su altri capitoli. Un'ipotesi veramente vantaggiosa: Fs avrà una plusvalenza monstre (la rete, concentrata nella controllata Self, è a bilancio per 35mila euro) e potrà beneficiare di quei 100 milioni circa che ogni anno lo Stato le devolve.
L'emendamento dà corpo a un'esplicita previsione del piano industriale delle Fs, ovvero la cessione delle attività non strettamente attinenti il trasporto ferroviario. Fu l'ex numero uno Moretti quattro anni fa ad avviare il processo di dismissione adombrando un prezzo di vendita vicino a quello odierno. Anche allora Terna era interessata, possedendo quasi per intero la rete italiana di trasmissione dell'elettricità.
Perché si è aspettato fino a oggi? La crisi globale ha costretto le Ferrovie a rinviare la quotazione. Ma, soprattutto, Terna aveva manifestato qualche perplessità. La rete che consente ai treni di marciare, infatti, è di elevato standard tecnologico solo nella porzione dell'Alta Velocità (oltre mille chilometri), il resto sente il peso degli anni e, dunque, necessita di interventi il cui costo - se si trattasse di un contratto tra privati e non tra società a maggioranza pubblica - andrebbe detratto dal prezzo di vendita. Quegli interventi, invece, dall'anno prossimo saranno a carico di Terna.
Qui nasce il problema per tutti i cittadini. Anche Terna è un soggetto che svolge un servizio per conto dello Stato: garantire la regolarità del flusso dell'energia elettrica. Un compito che viene remunerato sulla base di parametri stabiliti dall'Authority per l'energia. La quantificazione del servizio avviene sulla base della Rab (acronimo di Regulatory asset base , ovvero «beni relativi all'attività regolamentata) ed entra nelle nostre bollette come «servizi di rete».
Terna, quindi, avrà da recuperare il miliardo speso per l'acquisto oltre ai 100 milioni annui di manutenzione. L'emendamento alla stabilità glielo consente. Circostanza che ha scatenato l'indignazione dell'Istituto Bruno Leoni, think tank liberista.
«I soldi - si legge in una nota - arriveranno dalle bollette future dei consumatori elettrici, che si troveranno non solo a strapagare l'opera, ma a strapagarla due volte, perché in buona parte l'hanno già finanziata con le loro tasse attraverso i trasferimenti alle Ferrovie» che, con questa operazione, usufruiranno di «un sussidio attraverso una tassa occulta sul consumatore elettrico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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