Quando a fine dicembre gli ucraini hanno colpito per la seconda volta in poche settimane la base aerea di Engels, sulla sponda del Volga nella Russia Sud-Occidentale, non se ne fece un caso. Si disse che da questa base partivano i Tupolev e molti raid contro le città ucraine. Quindi un obiettivo sensibile centrato da un vecchio drone fortunato, residuato bellico del periodo sovietico. Neppure i russi snocciolarono troppi dettagli sulle perdite. E il fatto che fossimo a 700 km dal fronte ucraino, in pieno territorio della Federazione, passò in secondo piano.
Quell'episodio è stato invece sottolineato ieri, e rivendicato di fatto dagli 007 gialloblù dopo settimane di sottacimenti. È stato il vicecapo della Direzione intelligence della Difesa ucraina Vadym Skibitsky, in tv, a dare conferma indiretta dell'azione bellica di Kiev in territorio russo, fino a lasciar intendere che perfino il Cremlino si trova ora nel raggio d'azione dei droni. E che, per questo, Putin ha dispiegato sistemi di difesa sui tetti di Mosca con poderose gru. «Se raggiungiamo Engels, raggiungeremo anche il Cremlino».
Non ci sono quindi solo i corazzati dell'Occidente a dare il senso della nuova fase del conflitto esploso 11 mesi fa, vicino ad assumere una potenza di fuoco diversa sul terreno. Ma le parole: dell'una e dell'altra parte. Uno dei consiglieri del presidente Zelensky, Mikhaylo Podolyak, ha sottolineato ieri che forze ucraine non stanno attaccando la Russia, ma che i russi potranno «sentire» la guerra nelle grandi città. Si scivola nella propaganda. Nella minaccia comune. E in previsioni che in realtà nessuno è in grado di fare: «L'escalation all'interno della Russia è inevitabile, città degradate e pigre come Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg vedranno attacchi diversi contro obiettivi diversi», ha spiegato il funzionario.
Immediata la risposta del Cremlino, dal portavoce Dmitry Peskov: le parole di Podolyak confermano la correttezza della scelta di Mosca di avviare l'operazione militare «per proteggerci da questo pericolo». Peskov sfrutta la provocazione per rievocare gli «attacchi terroristici» di Kiev dei mesi passati, come la bomba dell'agosto scorso all'auto di Darya Dugina, figlia del famigerato ideologo di Putin. Un'azione non lontano da Mosca di cui si era persa per strada la paternità. E la Russia mostra ancora i muscoli. Il ministero della Difesa rende noto che la marina militare ha effettuato un'esercitazione nell'oceano Atlantico. La fregata Gorshkov ha colpito con un missile ipersonico Tsirkon un obiettivo che «simulava una nave da guerra nemica a una distanza di oltre 900 chilometri». Podlyak bolla la probabile escalation come un problema per Putin, con la popolazione che insorgerà a causa «dell'infantilismo della leadership del Cremlino». E se da un lato offre un assist a Mosca, dall'altro è un modo per Kiev per testare l'Occidente.
Ieri i Paesi Nato hanno risposto sì alle richieste di carri armati: opzione fino alla scorsa estate impensabile. Joe Biden ha però smentito un coinvolgimento diretto; tutto per aiutare Zelensky, ma anche di più per non farsi trascinare in una guerra sul campo con l'Alleanza atlantica boots on the ground. «L'invio di tank non è un'offensiva contro la Russia - ha precisato il presidente Usa - l'Ucraina sta conducendo una lotta per libertà e devono condurla ben equipaggiati». I tank, offensivi per definizione, saranno «utili per difendersi», ha chiarito Biden, e per riprendersi i territori persi. Donbass e Crimea tornano contendibili? Per Peskov, i tank porteranno solo «maggiori tensioni nel continente». «L'Europa deve svegliarsi dal suo sonno letargico», l'America la sta «trascinando in una grande guerra», secondo Maria Zakharova, megafono della diplomazia russa. Ma intanto è l'Armata di Mosca a muoversi.
La fregata Gorshkov sarà impegnata anche in un'esercitazione con navi da guerra cinesi e sudafricane a febbraio, al largo del Sudafrica. La chiamano «esercitazione». Come quella in Bielorussia con cui Mosca iniziò l'invasione.
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