«Sarebbe drammatico se qualcuno nel Pd pensasse di far partire la legislatura con Di Maio per ottenere in cambio l'elezione di un presidente della Repubblica del Pd». Il siluro lanciato ieri da Matteo Orfini fa capire che nel partito la guerra è aperta.
L'obiettivo dell'attacco di Orfini non viene nominato, ma è facile intuire che si tratti di Walter Veltroni, che domenica in un'intervista ha esortato i dem, quando sarà il momento e sotto «la regia» di Mattarella, a «dialogare» con i grillini per costituire un governo. E l'accusa, non troppo velata, è che il fondatore del Pd si mostri così aperturista perché se si formasse un esecutivo e la legislatura proseguisse fino al suo termine naturale, questo Parlamento dovrebbe eleggere il prossimo capo dello Stato: Veltroni fu in pista nel 2015, potrebbe tornarci nel 2022 sull'onda di un'intesa coi 5 Stelle, è la velenosa ipotesi orfiniana. Che dà la misura di quanto sia duro lo scontro tra l'ala della fermezza (opposizione e basta) che ha per capofila Renzi e il largo partitone trasversale della trattativa, che in nome della «responsabilità» vuol spingere il Pd verso il sostegno ad un governo purchessia. Partitone alla cui testa si è collocato Veltroni ma che vede presenti molti esponenti di prima fila, da Franceschini a Gentiloni, da Orlando al reggente Martina.
«La guerra è in corso, e finché non si capisce chi prevale, non si farà nessuna scelta», sospira un esponente dem. A cominciare dall'elezione dei capigruppo: giovedì si riuniranno le assemblee degli eletti Pd, ma il voto a scrutinio segreto si terrà solo la settimana prossima. Sulla carta, la coppia Guerini (alla Camera) e Marcucci (al Senato) andrebbe bene a tutti: entrambi di provenienza renziana, ma «unitari» quel che basta. Marcucci però è anche in ballo per la vicepresidenza del Senato, e a molti non dispiacerebbe mandarlo lì per avere un capogruppo più vicino al partito della trattativa. Tutto per aria, insomma. Matteo Renzi, atteso al suo debutto di senatore (ma ieri non era a Palazzo Madama tra le eccitate matricole), continua a tacere. Ma la durezza con cui Orfini è intervenuto ieri a respingere le frettolose aperture ad un governo purchessia rispecchia il suo pensiero: «Abbiamo votato in direzione un documento che diceva che stiamo all'opposizione. Tutto il Pd era d'accordo. Il giorno dopo alcuni hanno cominciato a chiedere un'altra cosa», attacca. Ironizzando poi su «questa brillante idea del governo di tutti», una sorta di «orgia», una trovata «strampalata». Probabilmente anche qualcun altro si è accorto che ci si era spinti troppo oltre le righe nell'offrirsi con tanta fretta per un governo al momento non alle viste, e così lo stesso Martina innesta la retromarcia: «Il Pd deve far tesoro di questo passaggio.
Bisogna prepararsi bene a un'attività di minoranza che vuole contribuire dall'opposizione», dice. E pare tramontare anche l'idea di un referendum tra gli iscritti su governo sì, governo no: visti gli umori della base, finirebbe con un «no» massiccio. Quindi i primi a non volerlo sono gli uomini della Trattativa.
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