Assolti per Consip, era un siluro a Renzi

Prosciolti papà Tiziano, l'ex ministro Lotti e l'imprenditore Romeo. Matteo: "Chi chiede scusa?"

Assolti per Consip, era un siluro a Renzi
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Assolto Tiziano Renzi. Assolto l'ex ministro Luca Lotti. Assolti anche l'ex parlamentare Italo Bocchino, l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo, oggi editore del Riformista e dell'Unità, e il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia. L'inchiesta Consip che aveva messo in grande difficoltà, a partire dal 2016, Matteo Renzi e il suo entourage si sgonfia e finisce quasi in nulla. Vengono condannati solo due militari dell'Arma: il maggiore Gian Paolo Scafarto, a 1 anno e mezzo, e il colonnello Alessandro Sessa, a 3 mesi. Immediata la reazione dell'ex premier: «Sono stati sette anni e mezzo di massacro mediatico. E invece hanno condannato quei pubblici ufficiali che hanno tramato contro di noi facendo falsi pur di attaccarci. Qualcuno ora avrà il coraggio di chiedere scusa?».

«Sono stati sette anni e mezzo difficili - aggiunge Lotti, ex ministro dello sport che poi non aveva seguito Renzi nell'avventura di Italia viva - non ho lasciato la politica. E oggi posso guardare a testa alta tante persone che negli anni mi hanno accusato. Nel Pd sono un semplice iscritto, ma manderò questa sentenza all'assemblea del partito».

Il grande accusatore di questa storia era l'ex ad di Consip Luigi Marroni. Era stato lui, nel settembre 2016, a rivelare che Saltalamacchia e Lotti gli avevano detto che c'era un'inchiesta sulla società. In aula, al processo, aveva poi raccontato di essere stato contattato a suo tempo da Renzi senior. «Mi disse di incontrare un suo amico, il manager Carlo Russo, che aveva molti progetti».

Poco dopo, fu proprio Russo, oggi pure assolto, a contattarlo e a chiedergli aiuto: «Russo mi chiese di aiutare un'azienda nell'ambito di una nostra gara, spendendo con me il nome di Tiziano Renzi e di Denis Verdini e mi disse che il mio destino professionale sarebbe dipeso da ciò che avrei fatto. Rimasi sorpreso, frustrato e umiliato da quelle minacce».

Da qui l'inchiesta che ruotava intorno a una serie di presunti reati ai confini fra politica, affari, lobby e chiacchiere. Insomma, poco sostanza e molto fumo che aveva avvelenato l'aria intorno a Renzi e ai suoi collaboratori. Le accuse, a vario titolo, erano di traffico d'influenze, rivelazione di segreto, millantato credito, falso, favoreggiamento e tentata estorsione.

Un copione pasticciato che si è trascinato per anni, fino alla conclusione ieri del primo round.

Sarà interessante leggere le motivazioni della sentenza. Certo, la condanna, l'unica, arriva per chi conduceva le indagini e tutti ricordano la decisione dell'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone di estromettere Scafarto e i carabinieri del Noe di Napoli dalle indagini che in precedenza avevano svolto con i pm di Napoli. Non solo questa, ma anche altre su cui ora è legittimo interrogarsi retrospettivamente, Troppo lunga la serie delle sviste, delle omissioni, delle forzature per trovare qualcosa contro il padre di Renzi, per incastrarlo, meglio ancora per arrestarlo. Per fortuna, senza successo.

Il sospetto è che si sia costruito un complotto o qualcosa del genere per colpire il premier che proprio alla fine del 2016, travolto della sconfitta referendaria, abbandonava Palazzo Chigi. Ora Renzi esulta ma aggiunge: «Ho subito un danno reputazionale infinito. E il danno politico, morale, umano. Fra gli assolti c'è un uomo che si chiama Tiziano Renzi, mio padre. Ti voglio bene, babbo».

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