Attacco alla Thailandia: quattro morti e 40 feriti

Dieci bombe esplose in poche ore nel Paese asiatico. Colpiti pure due italiani: non sono gravi

Luigi Guelpa

C'è un filo rosso, neppure troppo sottile, che collega la mattanza in Bangladesh dello scorso 1° luglio (24 vittime, 9 delle quali italiane), agli attentati a catena in Thailandia (4 morti e 2 italiani tra i 40 feriti). C'è la mano del terrorismo jihadista dei miliziani di «Jamaat Ul Mujaheddin» e la mente di Shaykh Abu Ibrahim al-Haneef, il «canadese», l'uomo inviato in Oriente da Al Baghdadi per colonizzare territori alternativi dopo le battute d'arresto in Libia, Irak e Siria. L'avevamo spiegato poche ore dopo l'eccidio all'Holey Artisan Bakery di Dacca: al-Haneef, al secolo Tamim Chowdhury, si era esposto in prima persona, parlando del nuovo Califfato di Khorasan (Pakistan, Bangladesh, ex Birmania, India, Indonesia e Thailandia) e minacciando di «portare a termine operazioni sempre più eclatanti». Il governo di Bangkok, in mancanza di rivendicazioni, punta sulla pista della politica interna incolpando l'opposizione, ma proprio ieri il ministro della Difesa Prawit Wongsuwan ha scelto di uscire dal coro dell'omologazione. «È un periodo importante per il turismo, ed è giusto non creare allarmismi. Bisogna però avere il coraggio di parlare con chiarezza - rivela l'ex capo di stato maggiore dell'esercito - dinamiche e modalità degli attentati fanno pensare a un terrorismo di matrice islamica». Un colpo mortale per il settore turistico che accoglie 30 milioni di stranieri all'anno e contribuisce a oltre il 10% del Pil.

La ricostruzione di quanto accaduto sembra purtroppo dare ragione a Wongsuwan: tra giovedì e venerdì il sud della Thailandia è stato messo in ginocchio da una decina di esplosioni in cinque località diverse. Si è trattato di attacchi coordinati con bombe di piccola portata, alcune delle quali trovate inesplose. Il primo ordigno è esploso nel pomeriggio dell'altro ieri a Trang, nell'estremo Sud, provocando un morto. In un primo momento si è pensato davvero a regolamenti di conti tra i fedelissimi della famiglia Shinawatra e i golpisti del generale Prayuth Chan-Ocha, che due anni fa ha preso il potere con la forza. Ma dopo la doppia deflagrazione di giovedì sera nella località di mare di Hua Hin (150 km a sud di Bangkok), lo scenario è decisamente cambiato. Il secondo dei due ordigni è esploso in una via affollata, uccidendo una venditrice ambulante e ferendo 20 persone, tra cui nove turisti europei, due dei quali italiani. Uno di loro, Andrea Tazzioli, 51 anni, di Genova, è stato colpito alla schiena da una scheggia che gli è stata estratta d'urgenza. Tazzioli si trovava a pochi passi dall'ordigno, «mi sono girato proprio un istante prima, ed è così che forse mi sono salvato». L'altro connazionale, il 21enne Lorenzo Minuti, è stato dimesso poche ore dopo. Ieri mattina un nuovo ordigno, sempre a Hua Hin, ha causato un morto e quattro feriti. Altre due bombe sono esplose a Surat Thani (porto d'imbarco verso i resort), uccidendo una persona. Due ordigni minori sono scoppiati anche a Phuket, causando un ferito. Altre due bombe sono state segnalate a Phang Nga, e degli ordigni inesplosi sono stati identificati e disinnescati dagli artificieri in varie località. Gli inquirenti in conferenza stampa hanno parlato di sette provincie colpite dagli attentati e di «nessuna pista al momento attendibile».

Qualcosa di simile accadde a Bangkok il 31 dicembre 2006, quando otto bombe esplosero in varie zone della città, particolarmente affollate per l'imminente capodanno, causando la morte di tre persone e 25 feriti. All'epoca non ci furono rivendicazioni.

In questo caso invece si legge un messaggio diverso dalle lotte intestine di un Paese che il celebre scrittore Vazquez Montalban aveva definito «un immenso centro di massaggi del Sudest asiatico». C'è l'ombra di una jihad alla ricerca di nuove terre di conquista, e che fa leva sulla debolezza dei governi e sulla dilagante corruzione tra le forze di polizia.

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