Avviso ai dittatori: schiaffo di Biden. Xi minaccia ma è impotente

Alla vigilia del congresso del Partito comunista uno sgambetto al leader che cerca il suo terzo mandato. Pronta a difendere Taipei come Kiev: l'America rivendica un ruolo di potenza globale

Avviso ai dittatori: schiaffo di Biden. Xi minaccia ma è impotente

Xi Jinping ruggisce, digrigna i denti, minaccia sfracelli. Ma in realtà non può fare niente: Nancy Pelosi, numero tre del sistema di potere americano, sbarca indisturbata nella tarda serata all'aeroporto di Taipei e dimostra che un po' di coraggio, ogni tanto, non guasta. Anche perché i bulli di tutto il mondo, da Xi a Putin, da Khamenei a Lukashenko a Maduro e via dittatoreggiando (non a caso ormai apertamente coalizzati in un inquietante blocco globale) solo quello capiscono.

Detto questo, è vero solo in parte che la presidente della Camera Usa sia andata a Taiwan con l'intento di creare un problema a Pechino. Ha «solo» rimesso i puntini sulle i di uno status quo complicatissimo e ambiguo che da quarant'anni regge nei rapporti tra Washington e le due Cine, quella rossa gigantesca e quella piccola e orgogliosamente libera e filoccidentale. E ha quindi ribadito che l'America accetta il principio dell'esistenza di un'unica Cina e non sosterrà un'aperta dichiarazione di indipendenza di Taiwan, ma che la eventuale riunificazione delle due Cine attualmente di fatto esistenti potrà essere accettata soltanto se entrambe la sceglieranno liberamente: quindi un chiaro no alla pretesa di Pechino di imporla con la forza.

Tra le ricadute dello sbarco di Nancy Pelosi a Taipei, dunque, primeggia la rabbia provocata a Xi Jinping, che in tutti i modi aveva segnalato agli americani la sua assoluta contrarietà a questa visita. Per Xi, che da vero leninista pretende di imporre la ferrea volontà sua e del partito comunista ai taiwanesi così come l'ha già imposta a Hong Kong, si è trattato di uno schiaffo in pieno viso. Soprattutto nell'imminenza di un congresso del partito che è chiamato a confermargli un terzo mandato alla leadership: minacciare fuoco e fiamme per il mancato rispetto di una virtuale sovranità cinese su Taiwan e non ottenere nulla non è solo uno smacco, ma un colpo subito da quella leadership.

Non è affatto escluso che Joe Biden, che si è ufficialmente nascosto dietro alla impossibilità costituzionale di impedire un viaggio politicamente e perfino fisicamente rischioso alla numero uno del Congresso, sia in cuor suo lieto di aver tirato questo sgambetto all'ambizioso Xi. Il leader cinese si sta facendo troppo invadente dal punto di vista geopolitico e militare, e questo può esser stato un modo per segnalargli l'opportunità di calmarsi.

Un messaggio chiaro, in primo luogo, con vista Ucraina: l'America che manda una mezza flotta (quattro navi da guerra: la Uss Ronald Reagan, nel Mar delle Filippine, la cui presenza era già stata segnalata, assieme all'incrociatore missilistico Uss Antietam e al cacciatorpediniere Uss Higgins) a proteggere il viaggio di Nancy Pelosi è la stessa che se necessario proteggerà Taiwan così come protegge Kiev. E, al tempo stesso, un messaggio rassicurante agli alleati regionali come Giappone, Corea del Sud e Australia: su di noi potete contare, le minacce cinesi non ci intimidiscono.

È la voce di una superpotenza che, al netto di interessate narrative contrarie, è tuttora molto più forte della Cina e che intende mantenere un ruolo centrale nell'Indo-Pacifico.

Una voce che a questo punto, visto come si erano concatenati i fatti generati da questa visita comunque provocatoria, non poteva essere che forte e chiara per farsi ben intendere da tutti gli attori (nemici e amici) di quella strategica regione del mondo.

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