Davanti all'onnipotente Politburo del partito comunista cinese, il presidente Xi Jinping ha definito l'epidemia di coronavirus «un test di prima grandezza per il sistema Cina e per le capacità del governo». In un sistema dittatoriale, dove la fazione politica che fallisce non può essere sostituita dall'opposizione, questa affermazione assume un significato particolare: il test riguarda la tenuta del regime, e nello specifico dell'uomo forte che ne ha preso la guida, ovvero lo stesso Xi. Tenuta che al momento non è in discussione, ma che potrà teoricamente esserlo se alcuni punti fermi dovessero vacillare in conseguenza di questa crisi straordinaria: la capacità del governo di assicurare cibo e cure in condizioni di emergenza, la ferma presa del partito comunista sull'opinione pubblica e il suo controllo dell'ordine pubblico, la stessa potenza economica del Paese, che assicura benessere. Il regime di Pechino sta in piedi su una scommessa, a sua volta assicurata da un ferreo monopolio della forza: i cinesi accettano l'eternità del potere comunista e rinunciano alle libertà individuali in cambio di sicurezza e del godimento dei vantaggi della prosperità nazionale. Se lo svanire di questi elementi suscita il panico e lo spettro della povertà, tutto diventa possibile. Ma la vera cartina di tornasole è rappresentata dall'attitudine del regime verso la verità. La Cina sta vivendo una sorta di replica del momento Chernobyl: aver cercato di nascondere la drammatica realtà del disastro nucleare accaduto in Ucraina demolì la già debole credibilità del partito comunista sovietico. Anni dopo, Mikhail Gorbaciov ammise che fu il contraccolpo d'immagine innescato da Chernobyl a spingerlo ad attuare la Perestroika, fondata su una decisione inedita per l'Urss: smettere di raccontare bugie al proprio popolo e al mondo. Il partito comunista cinese dimostrò già nel 1989 in piazza Tienanmen di aver imparato a modo suo la lezione: nessuna apertura alla verità e alla democrazia, o la Cina rossa sarebbe finita come l'Urss. Ora, però, Xi deve fare delle scelte: puntellare il regime a forza di menzogne e omissioni, oppure rischiare qualcosa facendo delle ammissioni di responsabilità e sacrificando qualche testa per salvare la propria. Al momento Xi sta percorrendo la prima strada.
Lo confermano i numeri sfuggiti al controllo del governo e arrivati sul web, che denunciano contagi e vittime fino a dieci volte superiori ai dati ufficiali, ma anche le smentite dell'Oms alla pretesa di Pechino di aver trovato cure promettenti per il coronavirus. Xi ritiene di non avere alternative, e forse ha ragione. Ma un nuovo effetto Chernobyl potrebbe indurlo a pentirsene.
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