
La frontiera politico-elettorale dell'Est europeo diventa snodo strategico anche per i destini futuri dell'Ue. Le elezioni in Romania e Polonia hanno assunto una coloritura geopolitica, mescolando da un lato la forza del centrodestra e delle destre in antitesi a una socialdemocrazia in crisi praticamente ovunque, e dall'altro la posta in palio, ovvero politiche più o meno trumpiane in chiave atlantista e paniere di alleanze tra Ppe ed Ecr. Detto della Romania, dove domenica il ballottaggio ha visto imporsi a sorpresa il sindaco centrista di Bucarest Nicusor Dan contro il conservatore George Simion che al primo turno aveva superato il 40%, c'è la Polonia a monopolizzare le attenzioni per i prossimi 15 giorni.
«Prima la Polonia, prima i polacchi» è lo slogan in stile Maga di Karol Nawrocki, convinto che la diarchia rappresentata da «centro e larghe intese» non sia la formula giusta. Sostenuto dal partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS) con il 29,7% è giunto a un soffio dal sindaco liberale di Varsavia, Rafal Trzaskowski, vincitore del primo turno con il 31,3%. Per cui il prossimo presidente si deciderà con il ballottaggio del 1° giugno.
Il numero due di Piattaforma Civica, partito guidato dal premier Donald Tusk, punta a liberalizzare la rigida legge sull'aborto e riformare il sistema giudiziario, accusato dal precedente esecutivo PiS di essere ultrapoliticizzato. Anche per questa ragione forse non è riuscito a ottenere quanto sperato nelle urne, visto che si parlava di una forbice di 6 punti, mentre a urne chiuse la differenza è stata risicata. L'ampia coalizione guidata da Tusk al momento non ha una maggioranza parlamentare sufficiente a ribaltare un veto presidenziale, per cui «servirebbe» un presidente allineato per poter dare seguito alle promesse fatte in campagna elettorale, anche in considerazione del fatto che il suo governo è di larghissime intese con pezzi della sinistra polacca, che chiede interventi netti su aborto e unioni civili.
Di qui si spiega il voto che è andato ad appannaggio del nazionalista Nawrocki, che fra due settimane potrà contare anche sull'appoggio dei due candidati di estrema destra, Slawomir Mentzen, arrivato terzo con il 14,8%, e Grzegorz Braun, arrivato quarto con il 6,3%. Le sue idee sono improntate al cattolicesimo integralista e per la crescita del Pil. Inoltre Nawrocki ha detto ai suoi sostenitori in un comizio a Danzica che «bisogna impedire a Tusk di prendere il potere assoluto». Il presidente Usa Donald Trump ha incontrato di recente Nawrocki alla Casa Bianca, mostrandogli il suo sostegno. Trzaskowski invece deve fare qualche concessione alla piattaforma ampia che lo sostiene, andando a pescare oltre il Ppe, quindi ha promesso in modo bypartisan maglie larghe sui diritti civili e strette sull'immigrazione.
Ma non è tutto, perché in ballo non ci sono solo diritti civili o politiche pro-life: è la geopolitica che si inserisce di diritto in questo ballottaggio, dal momento che la Polonia nell'ultimo lustro ha visto mutare il proprio peso specifico.
È di fatto cintura esterna Ue e Nato e dall'invasione russa dell'Ucraina in poi ha assunto un ruolo di primo piano sia alla voce sicurezza e intelligence, sia come avamposto dell'alleanza atlantica. Inoltre è protagonista di una ampia fase di riarmo con capacità più moderne, convenzionali e non, per affrontare le nuove sfide. Un eufemismo per raccontare un paese che, a Est, ha una nuova cortina di ferro.
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