C'è una banca francese, il Credit Agricole, molto attiva in Italia. Dopo aver conquistato con un'Opa ostile il Credito Valtellinese lo scorso anno, ora potrebbe prendersi anche Carige, la banca di Genova. E mettersi in tasca circa 700 milioni di crediti fiscali verso lo Stato, cioè soldi dei contribuenti. A muoversi è la filiale italiana del colosso transalpino - a suo tempo entrato nel BelPaese rilevando Cariparma - oggi guidata da un abile e italianissimo manager, Giampiero Maioli.
L'avanzata francese in Italia va avanti da sempre. Ma negli ultimi anni la progressione è stata eccezionale. Nel campo del lusso sono volati via Fendi, Bulgari, Loro Piana, Pomellato, Gucci. Nell'industria big come Edison o Parmalat. Telecom è tuttora in bilico mentre Luxottica e Fiat hanno stretto alleanze che tendono verso Parigi. Poi c'è la grande finanza, con la Borsa Italiana passata al gruppo Euronext. E infine le banche, con Bnp che ha fatto da apripista con la Bnl e ora con l'iperattivo Agricole. In nessuno dei casi di questa lista, lunga e solo parziale, la conquista francese è avvenuta in stile napoleonico. Qui le operazioni sono avvenute tutte sul mercato e alla luce del sole. A qualcuno può non piacere, così come ai liberisti non fare un baffo. Ma c'è un tema che pare indiscutibile, ed è l'interesse strategico nazionale. Non a caso il Copasir (il Comitato parlamentare che si occupa della sicurezza nazionale, guidato da Alfonso Urso) nell'ambito delle proprie indagini e audizioni, un mese fa ha chiesto al governo di prorogare i termini di esercizio del Golden Power anche per i soggetti Ue per tutto il 2022. Misura adottata dall'esecutivo all'art. 17 del Decreto Milleproroghe. Evidente l'intento di lasciare al governo l'ultima parola sulle acquisizioni in un momento di fragilità e confusione legati alla pandemia. Per questo il caso Carige - il tema lo ha sollevato la Lega - è singolare perché se a comprare fosse l'Agricole, la norma che consente di detrarre dalle tasse le cosiddette Dta (le imposte differite attive) finirebbe per favorire una banca controllata dagli enti locali francesi, e non la nascita del cosiddetto terzo polo nazionale. Agricole, dopo aver incassato 350 milioni di Dta dal Creval, a Genova ne troverebbe altrettanti.
Il tema, però, non è quello dei francesi che fanno la spesa in Italia e per di più con i nostri soldi, ma è la mancanza di un progetto nazionale alternativo. È spesso andata così. Con Parmalat, per esempio.
Ma anche con Borsa Italiana, dal cui capitale le banche italiane se ne sono andate preferendo le plusvalenze. Nel caso di Carige l'alternativa c'è e si chiama Bper, da Modena. Ma se l'offerta emiliana non sarà adeguata per tutte le parti in causa, non potremo certo prendercela con i francesi.
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