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Il banchiere senza il Loden: chi è (davvero) Mario Draghi

La formazione del governo da Città della Pieve. Il premier e il confronto col predecessore Monti: "Lui ci capisce"

Il banchiere senza il Loden: chi è (davvero) Mario Draghi

Bisogna conoscerli, gli umbri. E per capire come mai il numero uno della Bce decida di rifugiarsi su queste colline occorre domandarsi cosa possa mai desiderare dalla vita chi ha avuto in mano l’Europa. Pace. Tranquillità. Riserbo. Saranno i geni etruschi, sarà la mancanza del mare, ma gli umbri sono i vicini perfetti per chi cerca un rifugio riservato. Io sto ‘ntol mio, tu ‘ste 'ntol tuo, direbbero da queste parti. Cioè ognuno per sé senza troppo impicciarsi degli altri. Giuliano, chiacchierando in piazza, la riassume con schiettezza locale: "Draghi è intelligentissimo, e ha capito che qui non gli rompe i coglioni nessuno".

A Città della Pieve non ne possono più dei cronisti alla caccia di aneddoti. Non parlano più alla macelleria Rosi, dove pure SuperMario va a comprare la carne. È tutto sommato schivo l’edicolante. Gli altri spiegano di aver già rivelato ogni cosa ai colleghi passati nei giorni scorsi. Ma in fondo cosa vuoi dire di uno che guida una Fiat Panda, si veste con abiti da campagna e va a fare compere come ogni normale cristiano? Certo c’è la Bce, il whatever it takes ("what de che?", ripetono gli anziani del posto), le riunioni con la Merkel. Ma nessuno qui lo considera un superuomo o un "santo". "È uno qualunque", spiega il giornalaio, "una persona distinta, sicuramente riservata, ma non si atteggia a un rango superiore". La parola più usata è: vergognoso, cioè timido. "Al bar in piazzetta si siede sempre vicino alle piante per non farsi riconoscere". Tra i vicoli si narra che un altro vip milionario, pure lui affezionato alla Pieve, chiedesse uno sconto anche solo per un gelato da 3 euro. "Draghi invece non l’ha mai fatto", assicura Franco. "Se c’evo i soldi suoi manco io chiedevo gli sconti", ribatte velenoso Giuliano. In fondo non c’è bisogno di agiografie: la moglie compra la settimana enigmistica, lui fa la spesa, cammina per il centro, va alla messa domenicale delle 18. Con saggezza il signor Franco la mette così: "Voglio dì, alla fine pure lui magna, dorme e va in bagno, eh. Come tutti noi".

Eccola, Città della Pieve: ottomila anime abbarbicate su un colle al confine tra Umbria e Toscana. Palazzi in pietra, vicoli stretti, il primo rione si chiama "Casalino", come l’ex portavoce di Conte. Terra di Guelfi e Ghibellini, questa. Il cuore politico della città batte a sinistra (in paese campeggiano i cartelloni del Partito Comunista: "Fedeli alla nostra storia, avanti fino alla vittoria"), ma i casali hanno prezzi stellari. Draghi qui non è l’unico vip: Colin Firth figura tra i “vicini”; Ed Sheeran ha casa a "un tiro de schioppo"; le sue vie hanno fatto per anni da scenografia alla serie Carabinieri con Manuela Arcuri. E poi è il paese che diede i natali al divin pittore Pietro Vannucci, detto “il Perugino”, oltre che a Gino Cappannini, motorista di Italo Balbo con cui fece le due trasvolate atlantiche. “Mica niente”, precisa un residente fiero del suo campanile. Per il resto Città della Pieve è un luogo semplice, da piccola realtà, direi campagnola. Qui le fake news si chiamano banalmente cazzate. Non vuole essere un insulto, anzi: è saggezza paesana. Serve solo a marcare la differenza con l’atmosfera che Draghi avrà vissuto a Palazzo Koch o dell’Eurotower. Tutto un altro mondo. Per dire, chissà se a SuperMario hanno mai narrato la storia (o leggenda?) della rocca: "Una volta quello era un carcere - ci spiega un residente - e all’interno era detenuto un ladro di galline. Mancavano pochi giorni alla fine della pena quando il bandito chiese al carceriere di poter uscire qualche ora per festeggiare una ricorrenza con la moglie. È andato a casa, s’è ‘mbriacato e poi addormentato, dimenticandosi di tornare in cella". Morale: "Mai fidarsi dei ladri di galline: la mattina dopo al carceriere gli hanno fatto un culo…". A Francoforte ne raccontano di vicende così?

Ora che il governo Draghi ha preso forma, il confronto con Mario Monti diventa inevitabile. Non per la geografica politica o tecnica dell’esecutivo, ma per le personalità. In quasi tutte le uscite pubbliche il senatore a vita si presentò con indosso il Loden, trasformandolo nel capo simbolo di un cambio di passo politico: l’Era dell’austerità. Di Draghi invece è famosa una fotografia rubata mentre guarda sconfortato lo scaffale di un supermercato, nella tipica posa del marito che si è dimenticato la lista da spesa scritta dalla moglie. Oppure il video del cordiale scambio di saluti con Berlusconi alla Camera, come se fossero due amici per strada. Fausto Risini, primo sindaco sostenuto dal centrodestra dopo 70 anni di governi di sinistra, la vede così: "Monti aveva un approccio tecnico ed è apparso come l’uomo calato dall’alto per curare i bilanci. Draghi invece ci rappresenta, vive una piccola realtà e questo gli farà meglio comprendere le esigenze degli italiani". Vedremo. Se non fosse arrivato Sars-CoV-2, forse oggi il professore sarebbe già cittadino onorario. La cerimonia è solo rinviata, magari tra un anno quando sarà al Quirinale. E allora, alle fine, è meglio lui o Monti? "Per l’amor di Dio… - risuona la piazzetta - c’è da chiederlo? Draghi è di un altro spessore. E poi non ’n ch’ha quella puzza sotto il naso…".

Mario Draghi

Difficile dire se si tratti di piaggeria paesana o che altro. Ma qui l’uomo e il banchiere sembrano essere due persone distinte. Da una parte il "concittadino" pievese. Dall’altra il ragazzo romano di nascita, cresciuto dai gesuiti con Montezemolo e Magalli, diventato prima professore di economia, poi direttore generale del Tesoro, infine governatore della Banca d’Italia e presidente della Bce. Certo non bisogna scordare le querelle che lo accompagnano: il Britannia, le privatizzazioni, i derivati, le polemiche per il ruolo alla Goldman Sachs. Non sarà "l’apostolo delle élite", ma qualche difetto lo avrà anche lui, no? "Questo lo chieda alla moglie", ride l’edicolante. Eppure il "banchiere" non gira per Città della Pieve, qui c’è solo "Mario". Don Simone Sorbaioli assicura faccia spesso beneficienza. "A volte si ferma a parlare della Roma, è un lupacchiotto". Segue quando può il Palio dei Terzieri. Il secondo figlio Giacomo si è sposato in Duomo. E se prima considerava la sua villa un luogo di ritiro, nell'anno segnato dal Covid ci si è praticamente trasferito.

Il casale immerso nel verde, acquistato nel 2009, gli garantisce totale anonimato: due cancelli di ingresso, un lungo viale sterrato, la rete rinforzata contro i cinghiali, il monastero della Clarisse che prega per lui. Qui nel 2014 incontrò l'allora premier Renzi arrivato in elicottero. Qui ha scritto l'elenco dei ministri del suo governo. Difficile dire se continuerà a fare il pendolare anche da Palazzo Chigi come durante le consultazioni. La partita ora si fa difficile: il premier dovrà tenere salde le redini di un carro (il Recovery Fund) da 209 miliardi di euro trainato da cavalli (i partiti) che tirano in direzioni diverse. Alla Pieve tuttavia regna tranquillità: "È l’uomo giusto al posto giusto", assicura il sindaco dall'alto della sua esperienza: in Municipio governa con una maggioranza che va dalla Lega al M5s. Qualcuno spera addirittura che Draghi riesca a riservare qualche briciola del Next Genaration Ue per la città: "Potrebbe farci arrivare un po' fondi dal ministero della Cultura per i 500 anni del Perugino", sogna Giuliano. "Può darsi pure che ’n ce darà un cazzo", gli fa eco un passante. Probabile.

"Ma se farà gli interessi dell’Italia mi può bastare".

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