Battisti e i rancori degli esuli "Paga solo lui? Ben gli sta..."

Astio antico nei confronti del leader dei Pac: arrogante. Si vantava dell'appoggio degli 007. E, peggio, ha parlato

Battisti e i rancori degli esuli "Paga solo lui? Ben gli sta..."

E chissà se adesso, in quel mondo chiuso e un po' cupo degli «esuli» in terra di Francia, qualcuno non sta pensando: «Battisti? Ben gli sta». Perché la beffa finale inflitta dalla giustizia parigina a quella italiana, il rifiuto in blocco delle estradizioni degli ex terroristi rossi, fa sì che l'unico, o quasi, della pattuglia finito a scontare l'ergastolo in Italia sia lui, Cesare Battisti, il sicario dei Proletari armati per il Comunismo, anche lui per lunghi anni accolto e coccolato in riva alla Senna. Ma che alcuni fuggiaschi guardavano con diffidenza, specie negli ultimi anni. Soprattutto per alcune stranezze della sua fuga in Sudamerica.

Non è una comunità compatta, quella dei latitanti rossi a Parigi. Uniti dalla ospitalità della «dottrina Mitterrand», e dalla comune battaglia contro la consegna alla magistratura italiana, i reduci degli anni di piombo si portano comunque appresso differenze e antipatie, maturate durante l'esperienza della lotta armata: che aveva al suo interno fazioni diverse, spesso in concorrenza tra di loro anche aspra. Così se da un lato il quintetto degli ex delle Brigate Rosse (Marina Petrella, Giovanni Alimonti, Sergio Tornaghi, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli) appare coeso al proprio interno, la stessa cosa non vale verso gli esponenti di gruppuscoli come le Formazioni comuniste combattenti o i Nuclei armati per il contropotere territoriale, che all'epoca la ortodossia brigatista considerava dei pericolosi «movimentisti».

Un discorso a parte riguarda Giorgio Pietrostefani, il più famoso dei dieci «graziati» mercoledì dalla Corte d'appello parigina. La sua storia personale è molto diversa da quella degli altri nove: non ha mai vissuto in clandestinità, dopo gli anni di piombo è diventato un manager di Stato, ha «fatto i soldi», e si è fatta poca galera. E anche nella latitanza francese, mentre gli altri tiravano a campare in qualche modo, il suo tenore di vita è sempre stato alto. Un corpo estraneo, insomma. Anche la scelta di incontrare a Parigi il giornalista Mario Calabresi, figlio del poliziotto che fece assassinare, non è stata ben vista da tutti. Oltretutto non si sa cosa i due si siano detti, e il sospetto di una qualche ammissione, magari da divulgare postuma, è quasi inevitabile.

Ma quello verso cui la diffidenza del nucleo storico dei latitanti è più vistoso è lui, Cesare Battisti, che dal 2019 sconta in Italia il suo «fine pena mai» ma che in Francia è stato non solo riverito a lungo dagli intellò di sinistra ma anche dal giro di Nicholas Sarkozy, il presidente che più aveva aperto le porte alla estradizione dei fuggiaschi ma che per Battisti sembrava avere un debole, grazie anche alla intercessione di sua moglie Carla Bruni.

Perché quell'asse preferenziale? La diffidenza divenne esplicita nel 2009, quando Battisti - va a capire perché - rese noto che ad agevolare il suo passaggio in Brasile erano stati esponenti dei servizi segreti francesi. Battisti venne attaccato duramente da Oreste Scalzone, leader di Potere Operaio, allora portavoce della comunità: «Le nostre reazioni - scrisse Scalzone - oscillano tra l'incredulità e una domanda: perché mai lo avrebbero esfiltrato? In cambio di che?». Ancora più duro Paolo Persichetti, uno dei pochi brigatisti consegnati all'Italia, che accusò Battisti di vedere «la vita come un vortice di complotti, sembra vivere nella trama dei suoi romanzetti». E accusò Battisti di nutrire «una sorta di sordo rancore, come di gelosia contro Marina Petrella», la Br che in Francia era stata liberata su pressione degli intellettuali.

Arrigo Cavallina, che dei Pac era stato il fondatore, scrisse dell'ex amico: «Si mostra proprio antipatico, arrogante; non capisco lo scopo di certe dichiarazioni che sembrano inutili e controproducenti, o messaggi oscuri come quelli sui servizi segreti francesi».

E come se non bastasse, quando l'hanno portato in Italia ha confessato tutto. Son cose che non si fanno.

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