Alla fine hanno vinto loro. Gli haters. Quelli che vomitano odio sui social network, quelli che di volta in volta si scatenano contro un «nemico» anche se non c'è alcun motivo che lo sia. Finora Andrea Bocelli ha cantato per tutti i presidenti degli Stati Uniti, da Bush a Obama. Anzi, per dirla tutta, essendo uno dei cantanti più famosi del mondo, ha cantato davanti a tanti Capi di Stato democratici. Perciò anche Donald Trump lo ha invitato a esibirsi alla Casa Bianca nella cerimonia di insediamento. Tutto regolare. Tutto alla luce del sole. Tanto più che, in campagna elettorale, Bocelli non si era mai espresso a favore di Trump (né della Clinton, a dire il vero). Insomma, l'esibizione di un grande artista nel corso di una grande cerimonia. Invece no.
Trump, si sa, per i soliti integralisti è «diversamente eletto» quindi esibirsi per lui equivale sostanzialmente a una infamia. Sui social network, specialmente su Twitter, è partito l'hashtag «Boycott Bocelli» all'insegna del fatto che no, Bocelli non può cantare per il presidente democraticamente eletto degli States perché altrimenti rischiava il boicottaggio di dischi e concerti. Proprio così. In breve l'hashtag è diventato «virale», ossia ha avuto una diffusione impressionante entrando anche nei titoli dei tg americani. Parliamoci chiaro: è un atteggiamento intollerante che una volta si sarebbe detto fascista. Un integralismo radical chic che poi, specialmente in questo caso, non è poi idealmente distante da altri e più sanguinari integralismi. Risultato: «Non c'è modo che io faccia questo concerto, sta suscitando troppo clamore la cosa, per questo dico no», ha fatto sapere il tenore attraverso persone a lui vicine.
Quindi Bocelli non canterà per Trump pena un miserabile e insensato «boicottaggio». Piccola nota conclusiva: dov'erano questi «boicottatori» quando Rolling Stones o Bob Dylan si esibivano alla corte di dittatori o regimi totalitari (Cuba e Cina)?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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