D ue parole sole, «impegno positivo», ma bastano al capo dello Stato per dare il via libera solenne al Rosatellum. Niente di più, visto lo stile sobrio che Sergio Mattarella ha dato al suo settennato, ma niente di meno perché l'accordo aveva bisogno del suo timbro e il governo della sua copertura per porre la fiducia. Senza contare la necessità di controbilanciare lo sgambetto di Giorgio Napolitano, che ha chiesto di eliminare dalla scheda il nome del capo della forza politica. Al Quirinale l'intervento del presidente emerito non è piaciuto granché, però si preferisce glissare: interpretazioni diverse, il commento ufficioso.
Dal punto di vista del Colle, la riforma elettorale in discussione piace: non sarà forse perfetta però va nel senso sperato. Certo, come si legge in una nota, Mattarella non vuole fare invasioni di campo e, a differenza del suo predecessore, «non esprime, ovviamente, valutazioni nel merito del testo in esame in Parlamento». Anche sulla fiducia, che «attiene al rapporto Parlamento-governo», cerca di tenersi fuori, ma il suo via libera, se non formale ed esplicito, è evidente. E comunque, e questa è la sostanza, il presidente «continua a considerare positivo l'impegno in Parlamento per giungere a una nuova legge elettorale» e spera che «avvenga con ampio consenso».
Tutto ciò perché il capo dello Stato, contrariamente a Napolitano, non ha trovato forzature o anomalie evidenti nel Rosatellum, con buona pace del grillino Di Battista che ha parlato di golpe istituzionale. E in ogni caso meglio questa riforma «che il caos attuale». Potrà piacere o meno, ma sicuramente non peggiora le cose. Del resto, fanno garbatamente notare dal Colle, l'alternativa è un futuro pieno di incognite e di sicura ingovernabilità, è il sistema attuale, strampalato e contraddittorio, di due leggi non omogenee frutto di due bocciature della Consulta. Più di una volta poi Mattarella negli ultimi mesi aveva sollecitato i partiti a darsi da fare per rendere più armoniche le leggi elettorali. Aveva ammonito e esortato, aveva fatto capire che, in assenza di un'iniziativa parlamentare, avrebbe dovuto pensarci il governo con un decreto. Ora che qualcosa si muove non può che rallegrarsi.
C'era però un problema, la prudenza di Paolo Gentiloni. La fiducia la incassiamo senza problemi, si era chiesto il premier, ma il voto finale sul Rosatellum sarà a scrutinio segreto: che succede se andiamo sotto? Cade il governo? E la Finanziaria che fine fa? Formalmente non c'è obbligo a dimettersi, però è evidente che ci sarebbe un forte impatto politico. Inevitabilmente Palazzo Chigi sarebbe azzoppato, la manovra a rischio, la speculazione in agguato.
Dubbi sensati, però a quanto pare sul Colle questo passaggio non viene vissuto in modo drammatico. Siamo in ogni caso alla fine della legislatura, settimana più, settimana meno, e toccherà comunque a Gentiloni fare la legge di bilancio. Il governo incasserà la fiducia e questo è sufficiente affinché resti in piedi, anche se il Rosatellum dovesse naufragare come il Tedeschellum nel voto segreto. Mattarella non teme ripercussioni sui conti pubblici.
Già da lunedì Forza Italia ha fatto sapere ai vertici istituzionali che la fiducia sarebbe stata opportuna, il che, detto da una forza di opposizione, non è un dettaglio. Al Senato insomma, pure se Mdp rompe sulla manovra, un qualche soccorso arriva.
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