Gian MicalessinE se dietro la Grecia ci fossimo noi? Il dubbio insegue Angelino Alfano. E l'influenza ben più delle orgogliose rivendicazioni di Matteo Renzi su un'Italia nuovamente capace di far la «voce grossa». Come dargli torto. Subito dietro ad Atene, dietro l'ultima della classe invitata dal ministro dell'interno tedesco Thomas de Maizier a «far i compiti» - e implicitamente minacciata di espulsione dal club di Schengen - ci siamo noi. Ovvero un'Italia accusata, al pari della Grecia, di non aver registrato decine di migliaia di migranti e per questo inserita nelle procedure d'infrazione. E ad aumentare le paura d'Alfano contribuisce il clima del vertice dei ministri dell'interno convocato ieri ad Amsterdam per affrontare l'agonia di un trattato di Schengen minacciato da migranti e terroristi in movimento sulla rotta balcanica. La conclusione del vertice, chiuso dall'invito alla Commissione Ue «a preparare le procedure per l'attivazione dell'articolo 26» è, di fatto, un'esplicita condanna a morte del trattato e dell'Europa. La possibilità - per uno o più Stati membri - di estendere i controlli alle frontiere, fino a due anni, garantita da quell'articolo sancirebbe oltre alla fine pratica di Schengen anche l'affossamento di un'Unione incapace di affrontare i contraccolpi economici causati, in termini di tempi e costi doganali, da una chiusura così prolungata delle frontiere interne.Ma l'aspetto più preoccupante per l'Italia è la tattica usata dalla Germania per scaricare sulla Grecia il proprio peccato originale, ovvero il benvenuto rivolto a settembre da Angela Merkel ai migranti in attesa alle porte d'Europa. Non a caso il vertice s'apre con la terribile stoccata di De Maizier a una Grecia accusata di non fare i compiti. Come dire che Atene può solo scegliere tra l'espulsione da Schengen o il sì a un corpo di polizia europea, incaricato d'identificare, registrare e - ovviamente - bloccare i profughi dentro le sue frontiere. Comunque vada il suo destino non cambierà. Se, come ipotizzava il Financial Times, Ue e Germania ne sanciranno l'isolamento le barriere europee si sposteranno alla frontiera con la Macedonia. E la Grecia diventerà comunque un campo profughi a disposizione dell'Unione. Ma l'Italia, come Alfano sa bene, ha poco da scherzare. Per Berlino la differenza tra noi e Atene è solo questione di numeri e di tracimazioni. Se una crisi libica o il collasso della Tunisia causassero arrivi e flussi insostenibili la Germania non esiterebbe a propinarci la stessa amara ricetta.E dunque ad Alfano resta solo una via d'uscita. Da una parte inneggiare alla presunta salvezza di uno Schengen già ucciso dai suoi colleghi, dall'altra inseguire una grazia preventiva inneggiando a quei controlli e quei centri d'identificazione che - fin qui - il governo Renzi si è ben guardato dal realizzare nella speranza di scaricare parte dei migranti attraverso i confini di Austria e Francia. «Schengen per ora è salva», dichiara il nostro ministro ma è l'unico a vederla così. E subito dopo recita un panegirico sulla «necessità di rafforzare i controlli e rendere veramente sicure le frontiere esterne dell'Ue» per salvare «il diritto alla circolazione libera e sicura nella Ue». Quel tardivo sì ai controlli punta anche a mettere un tappo alle tracimazioni dal nord est dove i profughi, respinti da Germania e Austria si riversano nel Friuli Venezia Giulia. Un tappo non certo tempestivo visto che a ottobre - quando il problema venne affrontato in un vertice straordinario a Bruxelles - l'Italia non fu manco invitata.
A sferrarci un'altra pugnalata ci pensa, intanto, l'Alto Commissario Federica Mogherini ricordando la necessità di sbloccare i tre miliardi promessi dalla Ue alla Turchia in cambio di qualche controllo in più alle frontiere. Un'autentica sordina alla voce grossa fatta da Matteo Renzi per opporsi a quell'inutile estorsione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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