«Gestione collettiva del partito», ha promesso Silvio Berlusconi. E dopo il terremoto dell'8,7% alle elezioni gli azzurri, in grande agitazione interna, vogliono capire che cosa significa davvero.
Se ne parla al pranzo ad Arcore, riservato a pochi «big» di Forza Italia, dalle capogruppo Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini alla vicepresidente della Camera Mara Carfagna, per preparare l'ufficio di presidenza che oggi alle 16 si terrà a palazzo Grazioli a Roma e non più a Villa Gernetto (Monza). A pranzo Berlusconi vedrà il vicepresidente Antonio Tajani, che gli è stato accanto nella prima uscita a Bruxelles e si conferma indispensabile con la sua esperienza da presidente del parlamento Ue (che si ricandida).
Oggi sul tavolo dei «29» c'è il chiarimento sulla linea politica nel centrodestra, la selezione della classe dirigente, il coinvolgimento del territorio. Difficile che il leader voglia nominare un nuovo coordinatore, escluso che ceda sulle primarie, incerto che pensi a un direttorio, una riedizione della segreteria politica, probabile che formi una commissione per fissare le regole di un congresso dopo l'estate. L'hanno chiesto in molti, da Gelmini e Bernini a Maurizio Gasparri e Laura Ravetto, dai toscani Stefano Mugnai e Massimo Mallegni alla calabrese Jole Santelli al lombardo Andrea Mandelli.
L'ex premier è molto irritato per la reazione scomposta dei suoi dirigenti dopo il voto, per le troppe polemiche, il clima da resa dei conti. Non ha certo intenzione di mettere in discussione il ruolo di Tajani, né l'efficienza del suo staff di consiglieri, il «cerchio magico» della fedelissima Licia Ronzulli, molto bersagliati. E lo rende chiaro con una nota che mette in riga i litiganti: «Assisto con sconcerto ad una ridda di dichiarazioni che nulla hanno a che vedere con la politica come la intendiamo da sempre noi di Forza Italia» e stigmatizza «la voglia di gettare discredito sui validi collaboratori che ho scelto personalmente».
Berlusconi ascolterà lo sfogo di tutti, la spiegazione di un risultato elettorale insoddisfacente, ma non darà spazio a chi cerca capri espiatori o immagina un suo buen ritiro in Europa. Il 26 maggio ha confermato che Silvio, con il suo carisma ha preso il 28% delle preferenze di Fi ed è sempre più necessario al partito, anche se disponibile ad allargare il vertice decisionale. Ma le redini rimarranno saldamente nelle sue mani.
Agli attacchi di Giovanni Toti, Fi è assuefatta, il governatore ha addirittura fatto campagna elettorale per candidati di Fdi ed è dato in uscita. Ma è dura anche l'ala meridionale, guidata dalla Carfagna, che vuole più autonomia dalla Lega. Ieri un gruppo di campani, con il coordinatore Domenico De Siano, si è scagliato contro di lei, definita «arrogante» e «beneficiata dal Cav», anche dal deputato Andrea Ruggieri. Replicavano alla senatrice, che sul Mattino esaltava il consenso personale del leader, dicendo che «la struttura di partito non ha drenato nulla, un nulla rappresentato da beneficiati». Parla sempre per i «malpancisti» del Sud il coordinatore siciliano Gianfranco Miccichè. Protesta perché nell'ufficio di presidenza non ci sono, tranne lui e la Carfagna, meridionali.
Forte del 17% di Fi in Sicilia cita «l'ottimo risultato» in 4 regioni meridionali, «il 50% degli attuali voti azzurri». Tajani getta acqua sul fuoco, riporta il centro sulla strategia: «Non è una questione di incarichi, non mi interessano dibattiti sulle poltrone, servono idee».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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