Bimbo ucciso, processo infinito: la sentenza arriva dopo 34 anni. Ecco la giustizia da riformare

Ecco la vera giustizia che va riformata

Bimbo ucciso, processo infinito: la sentenza arriva dopo 34 anni. Ecco la giustizia da riformare

Ci sono voluti 34 anni per avere una sentenza. Un verdetto che però è una beffa, poche migliaia di euro di risarcimento. Nulla in confronto all'incalcolabile danno subito: la morte di un figlio di tre anni ucciso, nel 1984, da un'auto pirata. Una storia terribile che l'Associazione italiana vittime di malagiustizia (Aivm) ha seguito con impegno, decidendo ora di rendere pubblica sul suo sito per denunciare la «lunghezza infinita dei processi nel nostro Paese». La vicenda del piccolo Angelo, morto investito mentre giocava in strada, è una tragedia che contiene un altro dramma: nella vana attesa ottenere giustizia, anche il papà del bimbo è morto di crepacuore e la mamma si è ammalata gravemente. Trentaquattro anni di attesa rappresentano un tempo infinito che avrebbero minato la salute di chiunque. Il padre di Angelo non ce l'ha fatta a resistere. Ma è stato meglio così. Almeno si è risparmiato lo scempio di una decisione che ha «monetizzato» la perdita del suo bimbo con la miseria di 13mila euro. Somma che andrà alla mamma del bambino: una donna coraggiosa che ha lottato per avere giustizia in nome del figlio; giustizia - si badi bene -, non denaro. Perché non c'è risarcimento al mondo che possa restituire un bimbo di 3 anni all'amore dei propri cari; per questo la mamma e i fratelli di Angelo, forse, avrebbe preferito non ricevere neppure un euro piuttosto che vedersi riconoscere una somma offensiva, che quasi oltraggia la memoria di Angelo.

Ma ripercorriamo con i volontari dell'Aivm l'odissea della famiglia del bambino: «Era il 4 maggio 1984 quando il bimbo giocava sul marciapiede nei pressi della sua abitazione, sulla strada provinciale Taurianova-Rosarno (RC), una delle tante strade della Calabria costruite senza rispettare alcuna norma di sicurezza». Sembra un giornata gioiosa, ma non è così: «All'improvviso sbuca un'autovettura, una Fiat 125, che viaggiando a una velocità superiore ai limiti consentiti, travolge il piccolo scaraventandolo a 10 metri di distanza e lasciandolo senza vita».

In seguito all'incidente viene avviato un processo penale, ma l'automobilista è assolto perché «il fatto non costituisce reato». Nell'ottobre del 1985 inizia anche un procedimento civile per ottenere il risarcimento dei danni. Passano undici anni per la prima sentenza, che nel 1996 quantifica il risarcimento del danno in 80 milioni di lire. Ma la sentenza, appellata dal conducente dell'auto, viene dichiarata nulla dalla Corte d'Appello nel 1997, e così gli atti vengono rimessi in primo grado.

«A questo punto comincia - si legge nel fascicolo raccolto dall'Associazione vittime di malagiustizia - un'infinita sequela di udienze: la prima nel 2002, poi nel 2007, 2008 e nel 2015. Nel 2015 e nel 2016 si hanno ulteriori rinvii, fino ad arrivare al 2018».

Intanto, nel 2008, muore il padre del piccolo Angelo, sopraffatto da un dolore senza pari.

Nel 2010 la famiglia del bambino denuncia l'eccessiva durata del processo presso la Corte di Appello di Catanzaro.

Il tribunale riconosce «l'immotivato ritardo» e liquida come indennizzo alla madre una somma pari a 13.000 e a ciascuno dei fratelli del piccolo 1.500. Solo di recente si è provveduto al pagamento delle «somme indicate». Siamo nel 2018. Da quella maledetta mattina del 1984 sono passati 34 anni.

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