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Blair, il petrolio e i sauditi: li aiutò a far affari con i cinesi

L'ex premier avrebbe fatto da intermediario tra la società del figlio del re Abdullah e il regime di Pechino. Intascando 500mila euro per un anno

Blair, il petrolio e i sauditi: li aiutò a far affari con i cinesi

Intermediario fra due delle peggiori dittature contemporanee, l'Arabia Saudita e la Cina. Al prezzo di 41mila sterline al mese (52mila euro) e con commissioni del 2% per ogni contratto firmato. Per un totale di quasi 500mila euro in poco più di un anno. Gli affari di Tony Blair vanno a gonfie vele ma la saga sulle sue relazioni pericolose con i regimi più spietati del mondo sembra non avere fine e continua a offuscare l'immagine dell'ex premier e leader europeo della «Terza Via».

A svelare l'ennesima intermediazione segreta è il quotidiano The Guardian, che riferisce di aver visionato una serie di documenti in cui l'ex primo ministro inglese - è il 2010 - si impegna con la PetroSaudi a «corteggiare» il regime di Pechino. L'obiettivo è convincere i leader cinesi a fare affari con la società petrolifera saudita, che ha base a Londra ma è in mano al principe Turki bin Abdullah, figlio dell'ex monarca Abdullah, a quel tempo ancora in carica. Il ruolo è chiaro: Blair non deve «limitarsi alle presentazioni» ma deve «aiutare a portare a termine le transazioni». Poi però, nelle e-mail fra la società del premier, la Tony Blair Associates (Tba) e la PetroSaudi, si scopre che l'attività potrebbe finire nel mirino dell'organismo britannico per la vigilanza dei mercati finanziari, la Fsa, come prevedono i regolamenti della City. Allora Blair finisce per dare una mano senza figurare negli accordi. L'intesa prevede che il nome dell'ex leader laburista non venga diffuso senza il suo consenso. Tutto lecito alla fine, entrambe le parti non hanno commesso alcuna irregolarità. «Il suo nome era noto ai regolatori - spiega un portavoce dell'ex premier - e Blair non ha mai intrapreso alcuna attività se non quella di fare le presentazioni. Non fa accordi». La questione è di opportunità. Ma non è da poco. Anche perché nel 2010 Blair è ancora inviato speciale del Quartetto (Ue, Stati Uniti, Russia e Onu). E lo scambio di favori, oltre a ingrossare il patrimonio di famiglia stimato fra i 60 e i 100 milioni di sterline, è servito all'ex primo ministro per mettere un piede nella Casa reale saudita ed essere introdotto al sovrano in persona. Intanto, per la reciproca soddisfazione, Blair usava le sue entrature con il regime di Pechino per sondare possibili vie d'intesa con i sauditi. E chi incontrava? Il vice-premier cinese che ora è ai vertici della Repubblica comunista, i capi delle grandi aziende petrolifere e i grandi manovratori delle scelte economiche di Pechino.

Ormai è sempre più lunga la lista degli intrecci imbarazzanti dell'ex premier, la cui fortuna si è fatta notevole anche grazie alle conferenze strapagate come oratore in giro per il mondo e alle consulenze per diversi governi, alcuni dei quali noti per la scarsa tolleranza alla democrazia e al rispetto dei diritti umani. Dopo aver accettato incarichi per i governi di Rwanda, Kenya, Kuwait e Azerbaijan, qualche giorno fa è tornata la questione Kazakhstan. A risollevarla è stato il Times di Rupert Murdoch che accusa l'ex premier di aver aiutato il regime a promuovere investimenti petroliferi in un'area del Paese ex sovietico, cercando di diffondere sui media un'immagine edulcorata delle condizioni di lavoro sul posto.

In realtà nella regione di Mangystau le proteste dei lavoratori finirono in scontri di piazza e la morte di 14 lavoratori.

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