
Via all'invasione e alla conquista di Gaza. Come votato dal Consiglio di Sicurezza israeliano due settimane fa, l'esercito ha aspettato la fine del viaggio di Donald Trump in Medioriente per dare inizio alla prima fase dell'operazione «Carri di Gedeone», che rievoca la vittoria del guerriero biblico sul popolo arabo dei Madianiti. I blindati dell'Idf si sono fatti strada da Nord avanzando verso il centro della Striscia, dopo che bombardamenti massicci sono scattati già a partire dalla scorsa notte nelle aree di Gaza City e fino a Khan Younis e a Rafah a Sud. Due tunnel strategici sono stati distrutti. Obiettivo finale: «Smantellare il regime terroristico di Hamas e riportare a casa gli ostaggi», insiste Israele.
Un primo risultato si è ottenuto già mentre l'operazione era in corso. «Hamas è tornata al tavolo dei negoziati» a Doha, in Qatar, ha annunciato soddisfatto il ministro della Difesa israeliano Katz. Colloqui ripresi «con slancio», svela la tv israeliana Kan. «Senza condizioni preliminari», puntualizzano gli islamisti. Al vaglio ci sono un mese e mezzo o due di tregua, temporanea, per liberare subito dieci rapiti ancora in vita (a Gaza ne restano 59, di cui si reputa 21 vivi) in cambio di circa 250 detenuti palestinesi, il tutto con il coinvolgimento degli Stati Uniti. Finora Hamas si era rifiutata di riprendere i negoziati prima della fine totale della guerra, di cui si discuterebbe durante la tregua. Fonti israeliane hanno ribadito che le trattative non fermano il fuoco: «Hamas ha meno di 48 ore per decidere: accordo o offensiva». Da Doha parlano di un'intesa possibile entro stasera.
Nella Striscia, intanto, si va avanti con la guerra. «Abitanti di Gaza, l'esercito israeliano sta arrivando» è il contenuto dell'annuncio in lingua araba impresso dall'Idf su volantini distribuiti ai gazawi e corredati dall'immagine delle acque del Mar Rosso che si aprono, per avvisare dell'offensiva. Attacchi massicci sono andati avanti per tutta la giornata. E stavolta i soldati di Tsahal sono pronti a restare e prendere il controllo delle aree conquistate. Il bilancio parziale delle vittime solo ieri pomeriggio era di oltre 150, in totale circa 300 in due giorni. Tragici numeri che portano a oltre 53mila i morti dall'inizio del conflitto cominciato con il massacro islamista di 1200 israeliani il 7 ottobre 2023.
Migliaia di militari e riservisti sono pronti a unirsi all'offensiva nelle prossime settimane. Ma voci sempre più contrariate e insistenti si alzano dalla comunità internazionale perché Israele fermi il fuoco e faccia ripartire gli aiuti umanitari, bloccati dal 2 marzo, in modo da offrire sollievo ai gazawi stremati dalla mancanza di cibo, acqua e medicine. Il viaggio di Donald Trump nei Paesi del Golfo questa settimana non ha prodotto infatti decisioni risolutive neanche in questo senso. Eppure il presidente americano ha negato alla Nbc di essere «frustrato» per il comportamento di Benjamin Netanyahu e ha giustificato le decisioni del premier spiegando che «è arrabbiato» per il massacro del 7 ottobre. Secondo la tv, il leader Usa starebbe anche lavorando a un piano per trasferire in Libia fino a 1 milione di palestinesi in vista della ricostruzione e trasformazione di Gaza nella Riviera del Medioriente, un progetto di sfollamento che i Paesi della Lega araba riuniti in Iraq sono tornati a bocciare nelle scorse ore.
Ad alzare ancora la voce contro Netanyahu sono i parenti degli ostaggi e migliaia di israeliani tornati in piazza a Tel Aviv: «Se scopriamo che ha sabotato ancora una volta l'accordo, scateneremo una guerra totale contro il governo», ha avvertito Einav Tsengauker, madre del rapito Matan. «Sono passati 590 giorni e voglio solamente una tomba su cui piangere», ha spiegato commosso la madre di Inbar Haiman, 27 anni, uccisa da Hamas in prigionia.
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