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Bonafede contrattacca sui boss ma una mail inchioda il Dap

Il Guardasigilli respinge gli attacchi sulle scarcerazioni Giletti (La7) rilancia sul caso Zagaria: ecco perché è fuori

Bonafede contrattacca sui boss ma una mail inchioda il Dap

In visita a Rebibbia, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si mostra sicuro di sé e passa al contrattacco: «Sulle carceri sono state diffuse menzogne, a cominciare dal fatto che si è detto che i mafiosi stanno uscendo dal carcere». Il ministro sa che la situazione è delicata, perché in realtà i nomi dei mafiosi di primo e secondo piano scarcerati in nome del coronavirus stanno su tutte le pagine dei giornali. Ma il Guardasigilli ritiene di avere già pagato un prezzo abbastanza alto, cacciando su due piedi il capo delle prigioni, Francesco Basentini, e sostituendolo con un magistrato ancora più tosto, Dino Petralia. E così ieri, nel grande carcere romano dove la sua visita è accolta con una minirivolta nel reparto dei più disperati, ostenta sicurezza, difendendo l'operato del suo ministero e dell'intero governo nella gestione sul fronte penitenizario dell'emergenza Covid.

Il problema è che una manciata di ore dopo l'esternazione di Bonafede, arrivano le anticipazioni della puntata di ieri sera di Non è l'Arena, il programma su La7 di Massimo Giletti che sulle scarcerazioni facili ha picchiato con durezza. Il tema è il detenuto che ottenendo gli arresti domiciliari per motivi di salute è diventato il simbolo della indulgenza eccessiva di cui il ministero avrebbe dato prova: Pasquale Zagaria, boss del clan dei Casalesi, che da qualche giorno ha lasciato le asprezze della massima sicurezza nel carcere di Sassari per traslocare nel confort della casa di famiglia vicino Brescia. Sulla responsabilità della liberazione di Zagaria, fin dalle prime ore si sono rimpallati la colpa il tribunale di Sassari, che ha firmato il provvedimento, e il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, struttura operativa del ministero. I giudici accusavano il Dap di non avere mai indicato un carcere alternativo dove Zagaria, malato oncologico, potesse venire curato. Il Dap replicava di avere scritto tre volte a Sassari, l'ultima il 23 aprile. Lo stesso giorno, senza aspettare la risposta, i giudici avevano fatto uscire il boss. Ma ieri Giletti esibisce la mail del Dap: inviata alle 17,38, a giornata ormai conclusa, e con indicazioni del tutto generiche.

La colpa, insomma, sembra ripiombare sul Dap e sui suoi ritardi (la prima richiesta del tribunale di sorveglianza è dell'11 aprile). L'esito della ispezione interna annunciata da Bonafede sul caso Zagaria non è ancora noto. Ma l'ispezione stessa e soprattutto il brusco avvicendamento alla testa del Dap raccontano le difficoltà in cui il ministero di via Arenula si trova in questi giorni. E un ulteriore riscontro arriva dalla mossa che Bonafede ha voluto inserire nell'ultimo decreto governativo, e che ancora ieri il ministro presenta come una prova di fermezza: la norma che subordina la concessione dei permessi e dei differimenti di pena ai pareri delle Procure. Prima di concedere qualunque autorizzazione i magistrati di sorveglianza dovranno dare la parola alla Procura del posto, ne caso di detenuti con reati gravi, e addirittura alla Procura nazionale antimafia, nel caso di detenuti al 41 bis. Formalmente si tratta solo di un parere, che i giudici potrebbero disattendere: di fatto, sarà quasi impossibile che un tribunale si prenda la responsabilità di andare contro la linea dei pm antimafia.

In sostanza, è quasi come se Bonafede avesse trasferito la competenza in materia dai tribunali di sorveglianza ai «duri» delle Dda: una svolta brutale che sta creando malumori, forti ma per ora silenti, tra i giudici del settore.

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