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Bonafede a "processo". Le condizioni di Renzi: bisogna commissariarlo

Il Senato vota oggi sulla sfiducia. Il leader Iv vuole un tavolo tecnico col penalista Caiazza

Bonafede a "processo". Le condizioni di Renzi: bisogna commissariarlo

Da una parte Pd e Cinque Stelle che lanciano drammatici altolà: «Se cade Bonafede cade tutto». Dall'altra Matteo Renzi e i suoi 17 senatori, sufficienti ad affossare il Guardasigilli grillino e l'intero governo, che non sciolgono la riserva e tengono Conte sulla corda, con Maria Elena Boschi che sale a Palazzo Chigi a conferire con l'entourage del premier per dimostrare che la trattativa è in corso. E Italia viva fa trapelare di aver chiesto al premier di affiancare al contestato ministro un «tavolo sulla riforma della giustizia», a cominciare dalla prescrizione, costituito da «politici e tecnici», nel quale i renziani indicherebbero il presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza, esperto di diritto e garantista a 24 carati. In pratica, un commissariamento.

Il redde rationem andrà in scena stamattina nell'aula del Senato, dove verranno discusse e votate le due mozioni di sfiducia a Bonafede, una delle opposizioni per il caso Di Matteo e l'altra, ben più insidiosa, firmata da Emma Bonino e Matteo Richetti e mirata all'operato - devastante per lo Stato di diritto - del grillino. Alla fine, prevedono i più, non succederà nulla: «Neppure a Renzi conviene aprire una crisi ora, con il Paese che si dibatte nel dramma del post-lockdown», dicono dal Pd. E lo stesso ex premier, nelle scorse ore, ha confidato che non è il momento per vibrare il colpo di mannaia: «In fondo chi se ne frega di Bonafede, con i problemi che ci sono ora in Italia. Tanto il governo tra qualche mese cadrà lo stesso, per ben altre ragioni». Eppure la certezza totale che andrà così non ce l'ha nessuno, altrimenti la maggioranza non drammatizzerebbe così tanto la partita. Bonafede, già uomo forte dei Cinque stelle al governo, è uscito estremamente indebolito dalle ultime vicende: l'esilarante conflitto a fuoco con l'ex idolo dei manettari grillini Di Matteo sulla scarcerazione dei «boss» lo ha mascariato nella sua stessa constituency giustizialista, per non parlare delle losche storie di intercettazioni, dimissioni e guerre per bande nel suo entourage.

Nel Pd sono in molti a giudicarlo uno dei peggiori ministri di Giustizia della storia della Repubblica: «Fosse per me sarei felice di vedere fuori dal governo lui e tre quarti dei ministri», confida un ex membro di governo dem. Ma ovviamente Conte, già alle prese con mille difficoltà e consapevole di quanto sia esiguo il suo margine in Senato, non vuole scossoni. Tanto che suoi emissari hanno contattato anche esponenti delle opposizioni per capire se Lega e Fratelli d'Italia avrebbero votato la mozione garantista di Bonino (firmata anche da Forza Italia), oltre alla propria, registrando con sollievo i loro dubbi. Nel frattempo, il Pd si sta da un lato attivando per spingere Bonafede, nell'autodifesa che svolgerà oggi, a fare autocritica sulla abolizione della prescrizione, aprendo spiragli alla modifica. E dall'altro ad avvertire il premier Conte: nessuna concessione politica a Italia viva in cambio della salvezza del ministro. Secondo i dem, Renzi vorrebbe non solo il sì ufficiale al suo «piano choc» per la ripresa degli investimenti, ma anche un sottosegretario ad hoc, presso la presidenza del Consiglio, per la gestione del medesimo piano, che in pratica diventerebbe il «ministro alla Ricostruzione», oscurando in un colpo solo gli esili Patuanelli e De Micheli. A Conte gli zingarettiani lo hanno detto chiaro: «Se cedi al ricatto di chi ha il 2%, cosa succede se un partito con il 20% apre una trattativa sul prossimo voto difficile in Senato? Diventeresti prigioniero dei veti incrociati». Il Psi, che con Nencini al Senato fa gruppo con Iv, avverte: «O Bonafede si dimette, o gli votiamo contro». E un ministro dem sussurra: «Se Bonafede agisse di sua sponte tutto si risolverebbe. Non si sa mai, spes ultima dea...

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